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Effetti delle mutazioni del virus vs le aspettative dei prossimi vaccini

E’ solo di qualche giorno la notizia di recenti mutazioni del Covid-19, una variante partita da Londra e un’altra dal Sudafrica che presentano modifiche particolari rispetto all’originale e, a detta degli scienziati, possono aumentarne la diffusione e la contagiosità, ma non dovrebbero alterarne la letalità sull’uomo e, soprattutto, non condizionare la risposta ai vari vaccini appena prodotti e formalmente approvati. Lungi dal sottoscritto di volersi unire al coro degli scienziati medici e degli esperti, perché si tratta di materia che subisco quasi come ogni cittadino e conosco poco, ma considerato come sono andate finora le cose con promesse ed incongruenze su tutto il fronte, con colorazioni avventate ed alternate di gran parte delle nostre regioni, con restrizioni spesso incomprese ed incomprensibili, è comunque logico e ragionevole ipotizzare che i vaccini, ancorché essenziali, non sconfiggeranno la pandemia attuale se non nel lungo termine.

In sostanza credere che in questa situazione ancora così fluida in termini di organizzazione e di supporti sanitari, specialmente in Italia dove si continuano a registrare numeri abnormi di contagi e decessi quotidiani, nel giro di qualche mese pur con una vaccinazione estensiva ( ? ) si riesca a liberarci dalla pandemia, non è realistico ma del tutto illusorio. Ciò anche nel presupposto utopico che si riesca a rimpolpare rapidamente i presidi sanitari e gli organici di medici ed infermieri, con una riorganizzazione delle attuali strutture che sembra poco probabile, ma anche con l’attivazione di adeguate terapie anti-virali e con il concomitante sforzo di una massiccia vaccinazione che si spera efficace anche contro il virus mutato, tentando di raggiungere una percentuale dei vaccinati di circa il 70%, cioè la cosiddetta  immunità di gregge: una valutazione di merito e temporale fa quindi presumere che la battaglia contro quel maledetto virus sarà ancora lunga e che, purtroppo, dovremo ancora convivere con quel cancro virale ormai entrato a far parte, ahinoi, del nostro vivere quotidiano.

Anche i tentativi finora fatti di contenere la pandemia hanno dato pessimi risultati; la strategia della mitigazione dei contagi e dei morti, del cambio dei colori regionali basata su 21 fattori (sic), e delle incoerenze quotidiane con fibrillazioni incomprese sui limiti imposti a certe attività, non ha avuto particolari effetti positivi, da noi, né sul piano sanitario e neppure su quello economico e sociale:  già ora si riscontrano reiterati fallimenti nei vari settori, nell’incremento della disoccupazione, nella chiusura di attività di imprese ed artigianali e, soprattutto, nella tragica conta dei contagi e dei morti, oggi oltre i 70.000, di cui l’Italia detiene ogni record percentuale.

Vincere la guerra contro questo virus che cambia faccia rapidamente non sarà facile, né potrà essere conseguita nel breve termine; occorrono tempi congrui, investimenti adeguati e mezzi straordinari di cui finora abbiamo difettato. Non voglio fare la Sibilla cumana, né lo iettatore di turno, visto che ne annoveriamo molti anche fra i nostri scienziati con previsioni apocalittiche, ma non possiamo perciò trastullarci sulla sola disponibilità dei vaccini e sulla loro capacità di immunizzarci anche dai virus mutati, pur se bisogna riconoscere che la scoperta di quegli antidoti in tempi così ridotti è un fatto davvero eccezionale: tuttavia ci vorrà molto altro affinché si riesca a sconfiggere la pandemia e tornare a vivere come eravamo abituati, pre-pandemia.

Questo virus nato sulla terra ha scombinato la nostra vita in molti settori, ma ora si appresta a lasciare il segno anche sul mare, sui trasporti marittimi, con un rallentamento della crescita dei volumi e dei passeggeri, ed in genere sulla “Blue-economy” di questo secolo su cui la geopolitica aveva puntato in modo specifico per lo sviluppo futuro, sfruttando le grandi potenzialità della marittimità; gli effetti negativi del virus che, volenti o nolenti, è “targato” Cina, si declinano ed hanno riflessi anche sul piano internazionale, soprattutto nella percezione generalizzata che la Repubblica popolare cinese ponga in essere con la tipica spregiudicatezza anche tentativi surrettizi di conquista del mare con la BRI, la via della seta, da un lato e, dall’altro, con conseguenze allentate nei rapporti nel campo del 5G, e con la probabilità che numerosi progetti, per questi motivi, vengano comunque sospesi o perfino cancellati.

Sul piano interno gestionale ha prevalso una sorta di incoerenza e di indecisione nell’adozione di misure efficaci e durature, sbandando a dritta e manca con l’emanazione di continui Dpcm, spesso in contrasto fra loro; altrettanto spesso il cittadino normale, colpito da “infodemia” controversa, ha avuto la sensazione che il parere ed il riferimento degli scienziati della sanità non venisse recepito e valorizzato quale orizzonte scientifico di valore per istruire una politica obiettiva e realistica, ma piuttosto che venissero manipolati per finalità diverse con effetti vani se non del tutto negativi per combattere una simile emergenza socio-sanitaria, senza che la comunità scientifica ed il mondo intellettuale potessero far sentire le proprie voci. Ciò significa che è in atto un certo silenziamento della libertà di espressione o, in altri termini, che esiste una sorta di ricatto politico con forme di autocensura: il richiamo di quegli esperti è diventato un mero artificio retorico, svuotato di significato anche a causa dei loro pareri così discordanti nel merito, con un relativismo deteriore per tutti e per la stessa verità scientifica.

Una serie di divergenze e perfino di abusi non nuovi nei rapporti fra scienza medica e politica; non poche decisioni sono state prese ed alcune leggi sono state emanate sulla base di falsificazioni di fatti scientifici o della censura di dati disponibili; basta ricordare la diatriba sulla ricerca scientifica delle cellule staminali embrionali motivate da insussistenti giustificazioni scientifiche e via dicendo, oppure voler tacere sulle manipolazioni e censure imposte dal Vaticano, dalla fecondazione assistita, al testamento biologico circa la negazione di quei sostegni vitali dell’alimentazione artificiale in fase terminale di vita, fino ad altri paradossi taciuti da gran parte dei media ma voluti dai vertici religiosi, nell’imbarazzo ed ambiguità dei politici.

L’azione politica di fronte a simili “scogli” opta quasi sempre per la via meno pericolosa anche se ciò può significare qualche altra negativa conseguenza; atteggiamenti opinabili che derivano da certi scienziati disponibili a sostenere tesi strampalate, vuoi per la loro statura assai modesta oppure per ragioni cinicamente piegate ad ambizioni personali o ancora per manie di protagonismo mediatico: siamo di fronte ad una sorta di regime in cui la stampa appare formalmente libera, ma di fatto è asservita alla propaganda politica con un’agenda piegata alla disinformazione in particolare quando si tratta di temi etici della sanità e medicina in genere.

In effetti i nostri scienziati, o meglio dire pseudo-scienziati, contano assai poco sul piano politico, visti i controversi risultati che il nostro Paese ha avuto in termini di contagi e di morti; delle due l’una: se i politici hanno emanato i pareri senza manipolarli significa che quei giudizi sulla pandemia erano sbagliati; se, invece, quei pareri sono stati modificati dal politico per altri motivi, a parte la specifica responsabilità, significa che non si può certo parlare di una loro credibilità o affidabilità pubblica.

Detto altrimenti, gli scienziati ed i comunicatori di turno che hanno una buona visibilità mediatica, sono spesso “allineati e coperti” sul politico, e sfruttano anche per scopi autopromozionali la pubblicità e la presunta credibilità di cui godono vista l’assidua frequenza ai talk-show; ciò a prescindere dalla meritocrazia e dai risultati conseguiti nel loro ruolo di consigliori: questo sicuramente è l’aspetto più grave del rapporto scienza-politica che, purtroppo, è assai palese anche nell’affrontare l’attuale pandemia. Insomma, sono innegabili l’ambivalenza e gli equivoci dell’atteggiamento scientifico ed anche il procedere a tentoni della politica; ma perchè le misure sono risultate così incoerenti in Italia, e altrove?

“Mal comune non è mezzo gaudio”; noi in primis, ma anche altre Nazioni si sono mostrate impreparate per fermare la diffusione del virus con appropriate misure di “testing e tracing”, non sapendo far altro che gravare sulle loro economie con distribuzione a pioggia di denari, comunque insufficienti, per ristorare le attività industriali e sociali “proibite” talvolta in modo insensato: l’unica misura è stata quella di distanziarsi e obbligarci a stare reclusi in casa. Va detto che almeno inizialmente queste misure, con l’alterno uso delle mascherine, sembrava avessero funzionato, ma nell’estate scorsa ed in particolare in autunno, la situazione mondiale peggiorava arrivando a quasi 50 milioni di persone contagiate, con 1,2 milioni di morti.

Altro importante fattore è l’architettura della sanità, ridotta nel tempo per fronteggiare al massimo una epidemia localizzata, ma non per diffusioni pandemiche che richiedono diversi e più pressanti impegni e risorse; nelle epidemie il contagio è limitato territorialmente e le Nazioni non contagiate possono aiutare quelle invece appestate, mentre in una pandemia tutte le Nazioni vengono colpite contemporaneamente. E ciò implica una enorme, molteplice e tempestiva richiesta di aiuti all’OMS, nonché agli istituti finanziari come la Banca mondiale ed Europea ed a altri organismi internazionali: in tal caso dovranno essere i singoli Paesi ad affidarsi alle proprie risorse per fermare il contagio in quanto non esiste la possibilità di un intervento comune, efficace.

L’OMS dovrebbe disporre di finanziamenti eccezionali per poter gestire una pandemia, condividere i dati sensibili e condurre esercitazioni combinate in modo da fornire una credibile ed efficace risposta a quell’emergenza, altrimenti ne avremo sempre una insufficiente e tardiva. L’OMS, attraverso l’IHR, l’insieme di regole sanitarie internazionali, emana direttive e linee guida nei riguardi di tutti i Paesi affinché vengano opportunamente implementate per meglio gestire un’epidemia e una pandemia, nonché per poterle scoprire anzitempo e, con un’adeguata organizzazione, controllarne la diffusione limitandone la crescita: molte Nazioni non hanno mai adempiuto a tali regole, per diversi motivi e ciò costituisce un altro fattore assai negativo in termini gestionali di una pandemia. Va detto inoltre che, in questa pandemia da Covid-19, l’OMS non ha brillato; quel virus iniziò a diffondersi a Dicembre 2019 dalla città cinese di Wuhan, ma né la Cina e quindi la stessa OMS, per ragioni diverse, sentirono il dovere di allertare le Nazioni se non alla fine di gennaio 2020: un colpevole ed inaccettabile ritardo.

Dopodiché l’OMS ha emanato restrizioni nei viaggi e nello scambio di merci, ma con misure assai soft rispetto all’avvenuto contagio ormai galoppante; anche le singole Nazioni che avrebbero potuto e dovuto attuare misure più stringenti, con lockdown mirati, non hanno fatto nulla o quasi: di fatto hanno glissato entrambi lasciando che il virus contagiasse liberamente e, quando si sono trovati con l’acqua alla gola, hanno adottato provvedimenti intempestivi quanto insensati. Anche la corsa di molti Paesi per acquisire rapidamente medicinali e sistemi di protezione individuale è divenuta quasi impossibile in quanto tutti stavano facendo la stessa cosa a livello globale, rivelando la fragilità di tale bizzarro ed inefficiente procurement; oggi con la crisi economica incombente non sarà possibile finanziare di più l’OMS che dovrebbe ancora meglio garantire  una rapida sorveglianza e segnalazione allo scoppio di una epidemia.

Ma in pratica che cosa dovremo fare? Innanzitutto prepararci con un’organizzazione seria, nell’ottica che un’altra pandemia ci colpirà, prima o poi, con una pianificazione a lungo termine ed una a breve con capacità di allerta tempestiva e reazione al verificarsi dei primi indizi di una emergenza sanitaria prima che evolva in una pandemia. Essere più preparati ad affrontare una pandemia significa avere un’organizzazione efficiente con sistemi sanitari  adeguati, sia territoriali di base che per le terapie intensive, ed un sistema di testing con tamponi e altro, ma anche con mezzi di sorveglianza efficace nel rilevare tempestivamente i sintomi della gente, senza dimenticarsi di analoghi sistemi di tracciamento dei contagiati.

Devono cioè preesistere condizioni adeguate per affrontare l’emergenza sanitaria, inclusa una buona pianificazione delle attività, la formazione e l’addestramento del personale sanitario, la garanzia del ciclo produttivo di medicinali essenziali e dei dispositivi di protezione, consapevoli che si possono avere degli ospedali di eccellenza, ma il sistema nel complesso è fallimentare se mancano medicine e sistemi adeguati: è come mandare in guerra soldati addestrati, ma senza elmetti o fucili, sperando di vincere una battaglia. Bisogna prepararsi finché siamo in tempo “di pace” consci che lo sviluppo di un vaccino è il primo passo, importantissimo, per il lungo tragitto verso la fine della pandemia; per eliminare il rischio di futuri contagi ci vorrà che almeno il 70% della popolazione mondiale diventi immune al Coronavirus attraverso una lunga vaccinazione o da una pregressa infezione.

Attualmente intorno al 10% della gente ha contratto il virus, quindi esiste un margine enorme per la vaccinazione che durerà mesi e mesi, se non anni: è quindi chiaro che il vaccino (di cui giusto un paio di giorni fa siamo stati bombardati di spot televisivi, con fanfare, per l’inizio con una risibile quantità di meno di 10000 unità, mentre ne dovremo fare oltre 42 milioni!! a fronte di altre Nazioni europee che, beati loro, ne hanno avuto centinaia di migliaia… nonostante noi si detenga il record di morti…) non ci porterà a breve fuori dalla pandemia, ma con quelle forniture ci vorrà almeno tutto il 2021!!

Meno sproloqui e più fatti, e meno proclami sciocchi aiuterebbero il comune cittadino a capire; si auspica che i Governi e le istituzioni sanitarie nazionali ed internazionali riescano a comunicare chiaramente queste previsioni basate su dati fattuali al fine di evitare aspettative poco realistiche e conseguenti frustrazioni; è scontato che in base alla disponibilità dei vaccini, comunque limitata, i primi ad essere vaccinati saranno i popoli più ricchi che hanno prenotato quantità tali da fare vaccini diverse volte per la loro gente, mentre i Paesi più poveri dovranno attendere e fare la fila.

Tuttavia anche se avessimo la totale disponibilità dei vaccini avremmo risolto metà del problema, poiché il resto sarebbe condizionato dalla precaria logistica, da appositi contenitori per la distribuzione e da frigo particolarmente potenti. Garantire l’equità non sarà facile pur dando la priorità agli operatori sanitari, poi alla gente fragile ricoverata nelle case per anziani e quindi agli ottuagenari per scendere poi nell’anagrafe verso i più giovani; inoltre avremo una diversità nella vaccinazione di chi vive in grandi città che avrà compito più facile per vaccinarsi rispetto a chi si trova isolato in campagna.

Non siamo partiti bene in Italia; tanta enfasi e propaganda ma con una strategia vaccinale confusa e con un numero di vaccini incredibilmente basso; d’altronde il raggiungimento della immunità di gregge non sarà facile anche per la propaganda e disinformazione da parte di alcuni gruppi di ‘no-vax’ e da diversi media, particolarmente sensibili a strambe ideologie politiche o da interessi di varie lobby e industrie farmaceutiche: tutto ciò contribuirà a condizionare gli sforzi per raggiungere il target del 70%, in tempi ragionevoli. E’ anche possibile che, viste le predette problematiche, si creino frustrazioni nel popolo ormai stanco delle restrizioni ma anche disillusione nella gran parte della gente, creando infine scetticismo nei vaccini stessi e decelerazione nei programmi di immunità globale: è quindi davvero importante calibrare bene la comunicazione ed i messaggi verso la pubblica opinione.

Cosa fare allora a partire da oggi? Dovremo realisticamente affrontare questo periodo critico rinforzando l’organizzazione esistente, reclutando personale qualificato e investendo nei presidi e mezzi più adeguati per poter curare al meglio i malati da virus e non; soprattutto dovremo essere consapevoli di dover convivere con questo Covid-19 per un lungo periodo facendo attenzione al distanziamento fra le persone, ad una rigorosa igiene ed all’uso massivo delle mascherine, ma soprattutto iniziando a porre in atto lo step fondamentale della vaccinazione appena possibile ed in larga misura.

Ma nessun sbandieramento di vittoria per il solo arrivo del vaccino (per ora incredibilmente risicato nel nostro Paese…) e di cui non sappiamo le capacità e la durata della relativa immunità; la risoluzione rapida della pandemia è illusoria, ma la sua gestione è invece possibile nel rispetto di determinate condizioni. In due parole “Più vaccini e più siringhe, anche senza primule”.

Bisogna perciò continuare a combattere con le armi che abbiamo, senza farci prendere da frustrazioni o da inaccettabile rassegnazione, nella consapevolezza che nessuno al mondo, neppure i cinesi che ce l’hanno “regalato”, hanno la “bacchetta magica” contro questo terribile virus: serve tanta forza, coerenza e altrettanta grande pazienza per vincere la battaglia e tentare di realizzare una società futura migliore, più vivibile e più coscienziosa di quella pregressa.

Giuseppe Lertora

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