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La storia delle quindici infermiere delle Filippine rimaste isolate il 28 aprile durante l’evacuazione dell’ospedale Ali Omar Askar di Tripoli, a pochi passi dai combattimenti, aveva lasciato tutti con il fiato sospeso nella capitale libica. Dopo la loro scomparsa le infermiere erano state prelevate da un gruppo armato non meglio identificato. Poi, il primo maggio la buona notizia: le quindici donne erano riapparse sane e salve nell’ospedale di Tarhouna, 65 chilometri a sud-est di Tripoli.

La guerra nella capitale libica va avanti così: nelle ultime ore i bombardamenti hanno lasciato il campo a scontri armati quartiere per quartiere, sequestri lampo, ricatti e colpi di scena. Oltre 48.000 le persone che hanno abbandonato le loro case, mentre la guerra si sta spostando a sud di Tripoli. Gruppi armati di ogni genere, che fanno capo a tribù ed etnie, hanno scelto ciascuno il proprio campo di azione: da un lato il Governo di Accordo Nazionale (GNA) della Libia, presieduto a Tripoli da Fayez al Serraj e sostenuto dall’Onu, dall’altra l’Esercito Nazionale Libico (LNA) guidato dal generale Khalifa Haftar, che controlla il resto del paese. Ma se le fazioni in guerra sono due, le milizie sono infinite. Alcune cambiano campo nel giro di poche ore.

È stato Haftar un mese fa ad attaccare Tripoli e il governo di Serraj: mancavano solo dieci giorni alla firma di un accordo politico tra le parti caldeggiato dall’Onu che avrebbe dovuto mettere fine a una guerra civile lunga ormai otto anni.

Le fazioni in lotta tra loro vivono di una sola cosa: le entrate del petrolio. Anche la banca centrale è sola una e fornisce il denaro a tutti. Una settimana fa Haftar ha inviato una nave da guerra a Ras Lanuf, uno dei più grandi porti per l’esportazione del petrolio libico. Ma la Noc, la compagnia petrolifera nazionale con sede centrale a Tripoli, sotto il governo di Serraj, e i suoi pozzi petroliferi a est, nelle mani di Haftar, non ha ancora preso una posizione. I rappresentanti della società libica si esprimono a favore di uno o dell’altro a seconda delle circostanze. Serraj, in cambio, sta cercando di limitare l’accesso di Haftar alla valuta pregiata: anche se l’LNA controlla le infrastrutture petrolifere del paese, non raccoglie i proventi che finiscono tutti nella sede centrale della Noc a Tripoli.

Lunedì milizie non meglio identificate hanno attaccato l’impianto petrolifero di El Sahara nel sud-ovest del paese, attualmente sotto il controllo di Haftar. Due giorni dopo il mercato internazionale del petrolio entrava in grande fermento per via dello scadere delle esenzioni concesse dall’amministrazione Trump per l’acquisto del greggio iraniano. Adesso i paesi che non vogliano incorrere nelle sanzioni americane, non possono più comprare il petrolio dall’Iran. Quello libico è diventato ancora più prezioso: la guerra non è fatta solo di milizie locali.

Serraj e Haftar possono contare ciascuno su potenti sostenitori internazionali. I rappresentanti dell’Onu hanno fornito più volte le prove che Haftar riceve armi dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti: i due paesi arabi lo sostengono per contrastare la Fratellanza Musulmana, l’organizzazione islamica internazionale alla quale appartengono quasi tutte le milizie al fianco del governo di Serraj a Tripoli. Italia, Turchia e Qatar appoggiano Serraj, il quale, dal canto suo, ha apertamente accusato Francia e Stati Uniti di fare il doppio gioco.

E non solo perché gli Stati Uniti, insieme alla Russia, hanno recentemente bloccato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione proposta dal Regno Unito per porre fine ai combattimenti a Tripoli. Ma soprattutto perché la Casa Bianca martedì scorso ha fatto sapere che sta cercando di far includere nella lista delle organizzazioni terroristiche anche la Fratellanza Musulmana. È un chiaro segno di cambiamento di rotta da parte dell’amministrazione americana.

Alla fine di aprile Serraj era già corso ai ripari: aveva firmato un contratto di due milioni di dollari con l’agenzia statunitense “Mercury Public Affair”, una società specializzata in attività di lobbying presso il Congresso americano. La “Mercury Public Affair” segue già da tempo altri due clienti molto vicini alla Fratellanza Musulmana: la Turchia e il Qatar.

Gli scontri armati a Tripoli sono solo una piccola parte della guerra che si combatte in Libia. E, di sicuro, solo uno dei tanti modi in cui oggi si combatte una guerra.

Monica Mistretta

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