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”La siccità record del 2022 ha determinato una produzione lorda idroelettrica nazionale pari a 30,3 twh, significativamente inferiore della media del decennio 2012-2021 (48,4 twh)”. È quanto emerge dallo studio ‘Acqua: azioni e investimenti per l’energia, le persone e i territori’ realizzato da The European house – Ambrosetti in collaborazione con A2A, presentato oggi nell’ambito del forum di Cernobbio dall’amministratore delegato di A2A, Renato Mazzoncini, e partner e il responsabile scenari e intelligence di The European house – Ambrosetti, Lorenzo Tavazzi. Lo scorso anno la siccità, si spiega, ”ha messo a rischio la capacità di produzione energetica da fonte idroelettrica, ovvero la prima fonte energetica rinnovabile nel nostro Paese, con un contributo medio nel periodo 2012-2021 del 42% sul totale della produzione da fonti rinnovabili in Italia”.

La perdita di produzione dell’Italia ”ha rappresentato da sola il 25% della riduzione totale europea di produzione idroelettrica del 2022”, si legge nel documento. ”Per trovare così basso bisogna risalire al 1954, considerando però un parco idroelettrico con una potenza di 3 volte inferiore a quella attuale. Per dare un dimensionamento, se volessimo compensare questa perdita di produzione idroelettrica con il fotovoltaico, sarebbe necessario installare oltre 4 milioni di pannelli, per una superficie complessiva di oltre 58 chilometri quadrati, pari a 1/3 dell’estensione del comune di Milano”.

L’idroelettrico, si ricorda nello studio, ”è anche una risorsa chiave per raggiungere il target legato alla generazione da fonti rinnovabili al 2030 in Italia. Infatti, anche con il massimo dispiegamento di solare ed eolico, senza il pieno apporto dell’idroelettrico il nostro Paese non potrebbe raggiungere gli obiettivi di quota di rinnovabili sul fabbisogno elettrico nazionale stabiliti dalla bozza del nuovo Pniec (pari al 65%)”.

Per contenere gli effetti dei fenomeni idrici estremi sul settore energetico, gli operatori possono ”efficientare l’esistente e realizzare nuove infrastrutture”, si sottolinea. Nella ricerca sono state identificate 5 linee di investimento prioritarie: costruzione di nuovi pompaggi idroelettrici sfruttando gli invasi già esistenti; interventi per valorizzare in ottica energetica i rilasci degli invasi esistenti a scopo irriguo; repowering degli impianti idroelettrici esistenti; realizzazione di nuovi impianti mini-idroelettrici; interventi per valorizzare in ottica energetica il ruolo dei fiumi e dei bacini alpini e appenninici.

Ad oggi, secondo lo studio, ”circa il 90% dei corsi d’acqua alpini e appenninici idonei è sfruttato per la produzione di energia idroelettrica. Impiegando anche la quota rimanente attualmente non utilizzata, tramite la realizzazione di nuovi bacini connessi, sarebbe possibile produrre 3,7 twh aggiuntivi di energia idroelettrica, con un investimento totale che potrebbe arrivare a circa 3,0 miliardi di euro”.

Complessivamente, portando a sintesi le 5 linee di intervento suggerite per contenere gli effetti dei fenomeni idrici estremi sul settore energetico, risulta come gli operatori industriali ”potrebbero abilitare un recupero di circa 12,5 twh (73% della produzione idroelettrica persa nel 2022), a fronte di un investimento complessivo di circa 15 miliardi di euro. Grazie alle ricadute positive indirette sui settori attigui, circa 25 miliardi di euro e generati dagli investimenti nella filiera energetica (pari a 1,64 euro ulteriori per ogni euro investito), la ricchezza totale distribuita sul territorio nazionale sarebbe complessivamente di circa 40 miliardi di euro”.

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(AdnKronos)


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