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L’unico imputato del duplice omicidio di Daniele De Santis e della fidanzata Eleonora Manta è reo confesso. Ma dal processo che comincia oggi davanti alla Corte di assise di Lecce ci si attende un quadro di maggiore chiarezza, se possibile, sulle motivazioni di un delitto così efferato e per certi versi ancora inspiegabile. Risponde di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, dai futili motivi e dell’aver agito con crudeltà Antonio De Marco, il 21enne di Casarano, studente universitario di scienze Infermieristiche che lo scorso 21 settembre, la sera dei risultati delle elezioni regionali, uccise con 60 coltellate De Santis, 33 anni, amministratore di condominio e arbitro di calcio nei campionati di serie C, ed Eleonora Manta, 30 anni, impiegata all’Inps, nell’appartamento di via Montello a Lecce, zona stazione ferroviaria, di proprietà di De Santis, dove lo stesso giovane assassino aveva soggiornato in affitto.

Infatti erano stati coinquilini per diversi mesi con Daniele, ma anche con Eleonora, quando quest’ultima, che lavorava a Brindisi, andava a trovare il compagno. Ognuno però viveva per conto suo nella propria stanza. Si incrociavano poco, condividevano solo i servizi e non avevano familiarizzato. Tra di loro non si era creato alcun rapporto, se non formale.

Fino a quando, dopo che i due fidanzati avevano deciso di convivere stabilmente, Daniele aveva chiesto con dovuto anticipo a De Marco di lasciare la stanza, cosa che infatti era avvenuta in piena estate, ad agosto. Ma la decisione non determinò nessuna conseguenza traumatica evidente nei rapporti tra la coppia e il giovane coinquilino e non sembra essere in alcun modo all’origine del duplice omicidio. Non furono quindi dissidi condominiali a spingerlo nell’abisso dell’orrore.

Da quanto emerso nei vari interrogatori e in alcuni scritti ritrovati nel computer dell’aspirante infermiere ma anche nelle lettere mai spedite dal carcere, il duplice omicidio fu pianificato nei minimi particolari e consumato perché il giovane non sopportava l’amore e la felicità dei due fidanzati, probabilmente aveva sviluppato un rancore anche verso il loro successo sociale mentre lo stesso De Marco era abbastanza solo e comunque non era riuscito ad avere alcuna relazione stabile, pur avendo fatto qualche tentativo, non solo in passato nel suo paese, Casarano, ma anche di recente, nel periodo in cui si era trasferito a Lecce per motivi di studio. Aveva infatti chiesto a una sua compagna di corso di diventare la sua ragazza ma la giovane aveva declinato l’invito pur rimanendone amica.

Insomma De Marco avrebbe sfogato l’insoddisfazione, la rabbia, la frustrazione personali, che spesso lo spingevano a piangere senza motivo, sulla coppia. Questo dovrà essenzialmente chiarire il processo che si apre domani. Antonio De Marco venne individuato e arrestato dopo una settimana di indagini. Il fatto di essere stato coinquilino della coppia e i successivi accertamenti dei carabinieri del comando provinciale, coordinati dalla Procura della Repubblica di Lecce, ad esempio le immagini delle telecamere di videosorveglianza, che lo immortalarono sulla via del ritorno verso la sua abitazione, le intercettazioni, la comparazione grafica dei bigliettini, persi dopo il delitto, sui quali c’era una sorta di promemoria di tutte i vari step dell’azione omicidiaria, non gli lasciarono scampo.

Il giovane, che aveva lasciato l’appartamento di via Montello ad agosto, si era fatto un doppione delle chiavi (uno degli elementi chiave della accusa di premeditazione), per questo colse di sorpresa la coppia in casa, nel giorno di inizio della convivenza, e a loro non diede il tempo e il modo di difendersi adeguatamente. De Marco infierì su di loro con diverse coltellate. Peraltro avrebbe escogitato anche una macabra messa in scena successiva, una sorta di rituale o una “caccia al tesoro” come da lui definita, ancora poco chiara. Inoltre avrebbe programmato come in un film thriller di lasciare delle scritte sul muro della casa, forse con il sangue delle vittime.

Si era portato dietro anche delle fascette stringitubo probabilmente per legare i polsi alle due vittime prima di ucciderle. Ma non gli fu possibile concretizzare questo progetto. Nei mesi successivi sono state poi trovate altre prove, ad esempio una pagina di diario di un mese prima dell’omicidio dove parla chiaramente della sua intenzione di uccidere De Santis o la lettera, mai inviata e rimasta nelle bozze del computer e indirizzata proprio all’amica del corso che lo aveva ‘rifiutato’ in cui confessa l’omicidio avvenuto da poco. A scovarla il personale dei Ris dei carabinieri. Dagli scritti ritrovati in carcere emergono dei passaggi inquietanti, ad esempio quando De Marco manifesta da un lato una sorta di pentimento e ammette di sentirsi come un mostro e dall’altro confessa che a una parte di lui questa idea piace.

Oppure quando non esclude che avrebbe potuto uccidere ancora se solo fosse rimasto libero o se questo servisse ad alleviare la sua solitudine. Il giudice delle indagini preliminari Michele Toriello ha disposto il giudizio immediato vista l’evidenza delle prove. E’ stata invece rifiutata la richiesta di rito abbreviato da parte della difesa come pure la perizia psichiatrica (dichiarata inammissibile a dicembre). Richiesta che quasi certamente sarà reiterata durante il processo e sarà diretta ad accertare, mediante consulenze, l’ eventuale infermità mentale dell’imputato. Al processo presenteranno una richiesta di costituzione di parte civile i rispettivi genitori e altri familiari delle due vittime.

L’avvocato Mario Fazzino, che difende gli interessi dei genitori del giovane arbitro, ha preannunciato che verrà chiesto il risarcimento danni e, se sarà ottenuto, sarà devoluto in beneficenza. “Non c’è prezzo per la morte del figlio”, ha detto. Quanto agli scritti ha aggiunto che nulla possono aggiungere in più o in meno “a un delitto così efferato, programmato, premeditato e lucido”. Rimarrà sempre l’interrogativo di come abbia fatto a compiere un duplice omicidio così efferato un ragazzo chiuso, problematico ma che non aveva mai avuto manifestazioni violente, al massimo solo qualche atto autolesionistico o impulsi omicidi mai rivelati a nessuno, emersi durante uno degli interrogatori subito dopo la strage.

(AdnKronos)

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