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I colori della bandiera Ucraina protagonista, i cartelli contro “Putin nazista”, ma anche bandiere della Nato e contestazioni al Pd e alla Brigata Ebraica. Due anni dopo l’ultimo corteo (a causa della pandemia), a Milano esplode la voglia di celebrare in strada la Festa della Liberazione ma le contestazioni, come da pronostici della vigilia, ci sono. Poche, limitate a pochi gruppi di contestatori, ma fischi e insulti si ripetono quando nella folla compare qualche bandiera della Nato.

A essere presa di mira, come sempre, la Brigata Ebraica contestata con l’urlo ‘Intifada fino alla vittoria’ lungo corso Venezia (non più all’incrocio con San Babila come accaduto per anni), mentre una dozzina di persone del Carc – Comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo – si piazzano accanto allo spezzone del Pd e ne contestano la presenza. “Non un solo uomo, né soldi per la guerra fuori la Nato dalla nostra terra. Fuori il Pd dal 25 Aprile. Fuori la Nato dal corteo”, il coro intonato contro i dem e contro il segretario Enrico Letta che rivendica: “Questo corteo è casa nostra, la Costituzione è casa nostra, l’antifascismo è casa nostra. E anche la solidarietà al popolo ucraino è casa nostra”.

Da organizzatori e politici arriva subito la condanna contro le contestazioni al Pd. “Non serve nessuna polemica”, la replica secca del ministro Roberto Speranza. Da tutti arriva anche l’invito all’unità e alla condivisione dei valori del 25 Aprile. Tante le bandiere arcobaleno, ma sono stati i colori giallo e blu a dominare il lungo corteo: 70mila i partecipanti secondo gli organizzatori, meno della metà da fonti in divisa. Tanti gli applausi per i rappresentanti della comunità ucraina che vivono a Milano.

Due donne ucraine prendono la parola dal palco. La prima è Iryna Yarmolenko, profuga e consigliere comunale di Bucha, che si definisce una “partigiana” e intona ‘Bella Ciao’, l’altra è Tetyana Bandelyuk che da 61 giorni – da quando è iniziato il conflitto – saluta i suoi genitori ancora lontani come se fosse l’ultima volta. “Ogni giorno spero e prego che tutto ciò finisca e che si arrivi a una pace duratura. Ma la pace non può arrivare con una resa del popolo ucraino”, dice raccogliendo gli applausi di piazza Duomo.

Arrivano i fischi ucraini, invece, quando il segretario della Cgil Maurizio Landini spiega: “Non sono d’accordo che la risposta alla guerra voluta da Putin sia quella di riarmare tutto il mondo, la risposta non può essere spendere più soldi in armi, ma dobbiamo spendere più soldi in sanità e lavoro”. E’ la parola pace quella che viene pronunciata più volte negli interventi, così come la condanna ferma contro l’aggressione russa esplicitata anche dal presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo: “Nel giorno della memoria della Liberazione, non avremmo mai voluto un 25 aprile con questa guerra e invasione, con questo strazio quotidiano. Il primo pensiero è alle vittime, ai feriti, ai profughi, a un popolo intero che vive queste settimane come tempo della catastrofe”.

A non aver dubbi sulla necessità di inviare armi all’Ucraina e a chiedere zero ambiguità da parte della politica è il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che apre gli interventi: “La libertà va difesa. È un valore assoluto. Non c’è più spazio per l’ambiguità sul fascismo. Non si può essere ambigui fino al punto di non scegliere tra un candidato che non rinnega il fascismo come in Francia o chi si è fatto finanziare dall’autocrazia russa. Ambigui fino al punto di dire che crescono felici sotto il fascismo. Andatelo a dire a Liliana Segre se era felice da bambina: basta ambiguità”.

(AdnKronos)

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