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Con una clamorosa intervista al Messaggero Renzi ha sparigliato Pd e 5Stelle

Con la sua clamorosa intervista al Messaggero di sabato, Matteo Renzi ha conquistato improvvisamente il proscenio nel convulso teatro della rissosa politica italiana. Lo ha fatto dal cielo, durante il viaggio di ritorno da un suo viaggio negli States.

“A me – ha affermato – sta a cuore l’Italia, non il futuro dell’avvocato [sic] Conte.
Conte è stato il premier di una maggioranza che ha azzerato la crescita in Italia: per una serie di circostanze oggi si ritrova premier anche della maggioranza alternativa. Qualcuno degli alleati, che confonde i sondaggi con la politica, lo immagina addirittura candidato leader alle prossime elezioni. Tutto assolutamente legittimo. Io però ragiono diversamente. Per me l’unica preoccupazione è che l’Italia vada avanti, che le tasse non aumentino, che il Paese si rialzi: quindi spero che Conte lavori bene. Faccio il tifo per lui e gli do una mano, oggi, senza farmi film sul domani. Che cosa abbia in testa Conte per il suo futuro mi è indifferente: basta che adesso pensi a lavorare per il bene dell’Italia. La legislatura durerà fino al 2023, sicuramente: siamo una democrazia parlamentare e in Parlamento c’erano, ci sono e ci saranno i numeri per un governo che non ci spinga fuori dall’Europa”.

Così, a meno di due mesi di distanza dalla faticosa alleanza tra i grillini gialli e i post comunisti rossi e dopo il disastroso ma prevedibile crollo elettorale in un’Umbria ancora rossa, ma di vergogna, per lo scandalo di malasanità che la primavera scorsa aveva travolto il governo della Regione, il machiavellico Matteo della sinistra, temendo una possibile ascesa del pur tentennante Giuseppe Conte, comincia a giocare a carte scoperte.

E’ noto che Italia Viva si ispira al partito personale creato da Emmanuel Macron nel non lontano 2016 mentre era ancora ministro socialista.

I sondaggi, sempre più pericolosi per il loro effetto di trascinamento plebiscitario ed ormai molto attendibili collocano Italia Viva in una finestra che va da un minimo del 3,5% ad un massimo del 6,2: niente male per una formazione nata ufficialmente solo un mese e mezzo fa nel salotto televisivo dell’inossidabile Bruno Vespa.

Partendo infatti dall’attuale media di poco meno del 5%, il “rottamatore senza incentivi”, come lui stesso si definì ormai tanti anni fa, guarda senza scrupoli ai transfughi dalla fin qui mal digerita ed improvvisata coalizione, frutto della sua stessa intesa con Beppe Grillo, il cui unico collante è quello di evitare delle elezioni anticipate che vedrebbero ripetersi la spaventosa emorragia di voti dei 5Stelle a favore della lega di Matteo Salvini, già nelle elezioni europee del maggio scorso.

Renzi venerdì, mentre volava in aereo, si è servito del quotidiano romano di proprietà della ricchissima famiglia dei famosi palazzinari Caltagirone per mandare appunto a Giuseppe Conte il suo “Cahier de doléances“.

Alla perdita, avvenuta solo domenica scorsa in seguito a delle elezioni amministrative dall’esito scontato, della Regione Umbria, si è voluto incautamente dare un valore politico nazionale.

Questo è stato per il politico fiorentino un errore politico quasi imperdonabile: “Non credo – afferma spazientito a ragione Renzi – sia stato geniale dare tanto valore alle regionali in Umbria. Erano elezioni locali. Mi sono sforzato invano di capire perché abbiano convinto il premier a fare la foto a Narni: lasciamo che chi ci governi [sic] pensi a governarci, non a fare spot in Umbria. Stiamo insieme a livello nazionale per necessità. Ma a livello locale ognuno fa le proprie valutazioni”.

Anche perché ora Giuseppe Conte, dopo l’errore compiuto in Umbria, ha ora davanti al suo cammino la trappola micidiale delle elezioni regionali in Emilia Romagna indette per l’ormai vicino 26 gennaio 2020.

“Si vota per l’Emilia Romagna, non per l’Italia – ribadisce Renzi mettendo le mani avanti. E mi piacerebbe parlare di una regione in cui la disoccupazione è sotto il 5%, dove Industria 4.0 ha ottenuto risultati brillanti, dove il turismo tira, dove il Pil cresce, dove gli asili sono tra i migliori a livello europeo. Salvini e Meloni hanno la solita cantilena su migranti e comunisti: noi abbiamo una regione che funziona, con un presidente capace, vogliamo bloccare anche quella? Le regionali sono elezioni regionali, non sondaggi nazionali. Anziché replicare la foto di Narni se il governo vuole dare una mano a [Stefano, ndr] Bonaccini tolga le tasse sulla plastica visto che l’Italia è leader mondiale del packaging e le aziende migliori si trovano proprio sulla via Emilia”.

Il fatto è che i sondaggi danno già, se il MoVimento di Grillo vorrà correre da solo, come dichiarato dopo il pessimo risultato della coalizione giallorossa di domenica scorsa, anche la roccaforte rossa nelle mani di Pulcinella Salvini.

Ad infuocare il confronto, c’è il fatto che l’Emilia si è accodata alla Lombardia e all’agguerritissimo Veneto nel chiedere un’autonomia talmente ampia da somigliare alla secessione un tempo invocata da Umberto Bossi.

La lunghissima, puntuale e densa intervista lascia intravedere la nascita di un governo Renzi programmato per il 2023, se Giovanni Conte si comporterà bene e manterrà la promessa di Cambiamento sulla quale fondò e svolse per i primi dieci mesi e mezzo un eccellente lavoro di mediazione tra i suoi due rissosi vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, fino all’esplosione della bomba a orologeria costituita dal caso Siri, una vera e propria connection mafiosa che arriva al boss latitante Matteo Messina Denaro, caso che Giuseppe Conte lasciò incancrenire per più di un mese, prima di decidersi a estrarre quel “tumore” espellendo dal suo governo il sottosegretario ai Trasporti Armando Siri, che per i suoi precedenti penali di bancarottiere non avrebbe mai dovuto entrarvi.

Il premier si trasformò a partire dalla seconda metà di aprile in un vero e proprio Mister Tentenna nel corso della guerra in Libia, abbandonando al suo destino il suo alleato Serraj, che pur aveva silenziosamente e brillantemente protetto contro le ingerenze nella ex colonia italiana, del prepotente e ingordo presidente francese Emmanuel Macron.

E proprio Emmanuel Macron, come abbiamo già ricordato, è da ormai tre anni il modello politico, con il suo partito personale.

Così, quando da Roma Barbara Jerkov gli chiede di pronunciarsi sulle possibili defezioni dei moderati del centrodestra che non intendono seguire un Silvio Berlusconi ormai decotto e appiattito sulle posizioni estremiste del sovranista Matteo Salvini, Renzi, suo sfidante in pectore, risponde con queste parole: “Su questo voto Forza Italia ha scritto una brutta pagina della sua storia. Ma rispetto il travaglio di chi soffre vedendo Berlusconi inseguire Salvini in una deriva incompatibile con il popolarismo europeo. Qualcuno verrà con noi? Forse, ma non tiro per la giacchetta nessuno: saranno loro a decidere.

“Italia Viva è una start-up che si propone di cambiare la politica assorbendo consenso sia dal Pd che dai Cinque Stelle, che dalla destra. Chi sta con noi ha un profilo liberale e riformista, mette al centro la persona umana e i suoi valori, rifiuta il giustizialismo. Gente che quando Trump dice: l’Italia starebbe bene fuori dall’Europa si alza e dice: ‘No, noi siamo gli eredi di Ventotene’. Siamo per una società aperta, basata sul merito e non sulla rendita. Chi ha questi valori non può stare con i sovranisti. Vale per chi ha creduto in Forza Italia ma anche per chi ha creduto nel Pd o in Cinque Stelle. È tempo di scrivere una storia nuova “.

Così sabato lo scoop del Messaggero è stato il tema politico dominante della giornata. Per il Pd, il presidente del consiglio in pectore Dario Franceschini risponde stizzito con un tweet: “Repetita juvant: il governo Conte è l’ultimo di questa legislatura. Chi lo indebolisce con fibrillazioni, allusioni, retroscena di palazzo fa il gioco della destra. Forse sarebbe ora di smetterla”.

A blindare il Conte bis è ovviamente il MoVimento 5 Stelle, il quale, forte dei suoi 216 deputati e 106 senatori e che già rischia, in caso di elezioni politiche anticipate, di sperimentare una parabola ed una fine analoghe a quella che ebbe nel secondo dopoguerra il movimento partito dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini.

Quel che conta oggi, comunque, è che il MoVimento di Beppe Grillo, che ha davanti a sé, se tutto gli andrà per il verso giusto, quasi tre anni e mezzo di potere, non è disposto in nessun modo a rinunciare al nome di Giuseppe Conte, come già aveva fatto dopo la crisi di governo ferragostana durante le trattative con il Pd, che avrebbe preferito un altro candidato premier per dare un segnale di forte discontinuità con il Governo del Cambiamento.

La XVIII legislatura repubblicana – avverte infatti il MoVimento – non ha nessun futuro senza Conte. E infatti il Messaggero di stamattina titola ironicamente “Conte a Renzi: dopo di me il voto”…
Il riferimento è al detto francese Après moi le Déluge, “dopo di me il diluvio”, che, come ben spiega Le Petit Robert, si dice di una catastrofe posteriore alla propria morte, della quale si ride. La catastrofe che ci attende tutti è il Climat Change dell’Antropocene, tante volte denunciato da LiberoReporter.

Sorprende che l’ancora quarantaquattrenne Matteo Renzi, padre di tre  figli, tra tante affermazioni condivisibili vi speculi cinicamente.

Giancarlo De Palo
Ha collaborato Pier Francesco Flores

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