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Lettera aperta della moglie dell’ammiraglio Treu, Paola Morandi, al Ministro della Difesa Elisabetta Trenta.

Gentile Signora Ministro della Difesa,

sono Paola Morandi, moglie dell’Ammiraglio Paolo Treu, e sento forte in me il dovere morale di chiarire pubblicamente la mia situazione, a seguito della diffusione di un ennesimo articolo di stampa che è una nuova e reiterata bomba a orologeria per gettare fango su mio marito, come è sempre accaduto tutte le volte che vi è stata aria di nomine, sfruttando la disgrazia che mi è capitata e per mano di persone scaltre e spregiudicate, che non hanno alcun rispetto nemmeno per i disabili.

Io vengo da una famiglia di persone di specchiata onestà e rettitudine, con genitori che mi hanno trasmesso valori etici che mi hanno sempre ispirata e sorretta, anche nei momenti più difficili della mia vita.
Nel 1985, durante il grande evento delle Tall Ships tenutosi in Canada, ove risiedevo, ho incontrato mio marito, un giovane ufficiale pilota imbarcato su Nave Maestrale, che nel corso di una campagna navale era in visita a Toronto.

Ci siamo sposati un anno dopo e abbiamo messo al mondo un meraviglioso figlio che tra pochi giorni compirà trent’anni. Un ragazzo dalle spalle larghe, che ha intrapreso la sua strada da ingegnere facendosi valere da solo, trovando subito lavoro grazie alle sue apprezzate qualità.

Nel 1990 quando mio figlio aveva solo un anno, ci siamo trasferiti in Mississippi e poi nel North Carolina, presso la base aerea dei Marines di Cherry Point, dove mio marito è diventato pilota di harrier.
Purtroppo, nel novembre del 1991, un grosso macigno si è abbattuto sulla nostra famiglia. Io ho iniziato a perdere la vista dall’occhio destro a causa di una macchia centrale, detta “scotoma”, che si è progressivamente allargata riducendone il campo visivo.

Dopo un calvario di circa sei mesi, passando da un ospedale statunitense all’altro, attraverso svariate diagnosi errate, dalla sclerosi multipla, al tumore al cervello e all’ictus cerebrale, sono approdata al John Hopkins Medical Center di Baltimora, dove ho ricevuto finalmente la diagnosi di malattia rara genetica del DnA mitocondriale. In quell’occasione il Prof. Miller mi anticipò che in brevissimo tempo avrei perso la vista anche nell’occhio sinistro e che sarei diventata cieca. Solo due settimane dopo la situazione è precipitata e ho dovuto smettere di guidare, perdendo progressivamente la mia indipendenza. La macchina organizzativa americana si mise subito all’opera, facendomi contattare da un’assistente sociale cieca che mi seguì per circa un paio di anni, indirizzandomi verso la Hadley School for the Blind, il corso di Braille, i libri in formato audio e la scuola per cani guida. Non ero preparata a questo dramma, anche perché ero la prima ad ammalarmi di Neuropatia Ottica di Leber nella mia famiglia. Purtroppo undici anni fa, questa terribile malattia ha colpito anche mio nipote, che al tempo aveva solo tredici anni.

A dicembre del 1994 siamo rientrati in Italia e ho dovuto affrontare, insieme al mio bambino, la dura vita della moglie del marinaio, fatta di lunghe e estenuanti lontananze. Fortunatamente ho potuto contare su persone sensibili e generose, che mi hanno aiutato a svolgere le mie mansioni giornaliere.

Il mio medico generico, resosi conto della gravità della mia disabilità, mi consigliò di fare domanda per ottenere l’assistenza prevista dalla legge. Nel 1996 la Commissione della ASL, sulla base di oggettive evidenze mediche, mi valutò cieca totale, riconoscendomi la pensione di invalidità e l’indennità di accompagnamento. Un anno dopo, peraltro ben oltre il previsto periodo di “silenzio assenso”, fui convocata dalla Commissione del Ministero del Tesoro per essere sottoposta a un ulteriore controllo di verifica, a seguito del quale fu confermata la mia condizione di cieca totale.

La mia grave disabilità e i ripetuti trasferimenti derivanti dal lavoro di mio marito mi hanno impedito di trovare un lavoro e così mi sono dedicata al volontariato, dando sfogo al desiderio di rendermi utile alla collettività.

Nel 1998 ci siamo trasferiti a Roma, dove ho fondato l’Associazione Vivi Vejo ONLUS per assistere le categorie più deboli (bambini, anziani e disabili), oltre a organizzare pulizie delle strade, conferenze nelle scuole sull’ambiente, concorsi letterari ed artistici per i ragazzi, corsi di computer per anziani della terza età, addestramento per formare accompagnatori per vedenti e attività di sensibilizzazione sulla vita dei ciechi, nonché corsi di lingua e cultura italiana nelle scuole elementari e medie.

È da quando sono in Italia che cerco di darmi da fare per fare uscire dal guscio le persone non vedenti e da circa dieci anni sono diventata rappresentante dei pazienti affetti da malattie mitocondriali della vista per la Mitocon ONLUS e nel 2016 sono stata eletta Rappresentante dei Malati Rari della Vista negli ERN (Europen Reference Network), come Epag nella ERN Eye, rappresentando i pazienti affetti da oltre 900 malattie rare della vista.

La mia storia è diventa un dramma nel dramma quando, nel gennaio 2014, trovai una lettera della Stazione dei Carabinieri di La Storta che mi chiedeva di presentarmi in Stazione, per scoprire di essere stata indagata per truffa quale “falsa cieca”, sulla base di riprese video che mi raffiguravano in un mercatino rionale, che frequento da svariati anni e che conosco a memoria, mentre provavo alcune collane e toccavo della bigiotteria, per poi ricongiungermi a una mia amica per farmi riaccompagnare a casa. Analoghe riprese erano state fatte mentre ero al supermercato Auchan, costantemente accompagnata da mio figlio.

Tutta questa vicenda ha avuto colpi di scena a dir poco scioccanti, facendomi sentire un ossessivo accanimento nei miei confronti, anche da parte di Istituzioni, come l’INPS, che dovrebbero agevolare la vita del disabile e non distruggerla. L’INPS mi convocò improvvisamente per una visita di controllo in un caldo giorno del mese di agosto 2015, in una sede che sembrava una cattedrale nel deserto (quasi tutti in vacanza). La commissione che mi doveva esaminare era costituita da un oncologo (presidente), un oftalmologo (la mia patologia è relativa al nervo ottico e richiede un neuro oftalmologo) e un medico estetista. L’INPS non si era nemmeno premurato di richiedere la partecipazione di un rappresentante della Unione Italiana Ciechi e il cambio, all’ultimo momento, dell’orario della visita, mi impedì di essere assistita da un neuro oftalmologo referente nel Lazio per la mia malattia. Violati i miei diritti, la visita si concluse paradossalmente con una diagnosi secondo la quale la mia vista risultava superiore a 1/20 in entrambi gli occhi, con l’evidente obbiettivo di revocare i benefici di pensione di invalidità e di accompagnamento (erano peraltro i tempi dei ricchi “premi di produzione” per i medici che riuscivano a perseguire tale scopo).

Fui quindi rinviata a giudizio e sottoposta a un processo penale, lungo e umiliante per me e per la mia famiglia. Ero tranquilla perché, a seguito della assurdo esito della visita di controllo dell’INPS, avevo fatto causa civile ottenendo la condanna (nel 2016) di tale Istituto, al quale il giudice impose il ripristino dell’erogazione dei benefici, venendomi riconosciuta per ben la terza volta, a seguito di esami medici, la cecità totale (condizione che, per legge, prevede l’esistenza del residuo di visione periferica di cui dispongo). L’INPS, giocando sulla propria contumacia, fece appello, ottenendo l’annullamento del suddetto giudizio. La suddetta causa civile è stata recentemente riavviata, in modo da consentire l’attiva partecipazione dell’INPS, che tuttavia si è reso nuovamente contumace, ma questa volta non ci sono scusanti. Si saranno resi conto che è una causa persa, ma perché tutto questo accanimento contro di me?

Il processo penale è andato avanti e il 6 aprile 2018, dopo aver sentito la testimonianza del Presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti che vive a Bologna, anch’egli cieco totale, che ha dichiarato di essere in grado di girare da solo senza bastone e senza cane guida per la caotica stazione di quella città e di utilizzare il cellulare e il computer con sintesi vocale, confutando appieno quanto affermato dall’oculista della citata commissione dell’INPS, pensavo che avessero finito di massacrare me e, di riflesso, tutti i ciechi d’Italia che seguono il mio caso e temono di fare la stessa fine.

Malgrado ciò la mattina dopo i principali giornali nazionali pubblicavano articoli dove venivo indicata come “falsa cieca”, con tanto di foto, nome e cognome e naturalmente sbandierando il fatto che fossi la moglie dell’Ammiraglio Paolo Treu, il cui nome a quel tempo girava fra i palazzi per la posizione di Segretario Generale della Difesa. Non veniva fatto alcun riferimento alla causa civile che avevo vinto contro l’INPS (che peraltro non aveva ancora chiesto appello) e alle dichiarazioni del presidente dell’Unione Italiana Ciechi, che evidenziavano che la mia capacità di movimento, nell’ambito di aree a me familiari, era del tutto normale. A seguito di tale campagna mediatica di fango sono stata insultata e aggredita sui social (“ti strappo gli occhi” etc…) e ho temuto di subire la stessa fine nella vita reale, piombando nella più profonda disperazione.

Mi sono ripresa nel momento in cui mi avvicinavo al giorno della sentenza di primo grado, il 15 ottobre 2018, avendo fiducia che la giustizia mi avrebbe restituito la mia vita, non potendo restituirmi la vista. Non fu così, il giudice mi condannò a un anno e quattro mesi, senza nemmeno aver nominato un CTU per un’ulteriore verifica delle mie reali condizioni mediche, pur riconoscendomi cieca parziale (condizione che peraltro è stata data per scontata, in occasione della loro testimonianza, persino da quegli stessi membri della commissione INPS dell’agosto 2015, che avevano paradossalmente valutato la mia vista superiore a 1/20). Alla lettura della sentenza sono svenuta e quando mi sono ripresa ho cominciato a ripetere che volevo morire, mentre sentivo i ciechi presenti nell’aula del tribunale che inveivano contro il giudice.

Tanti sono stati gli articoli di solidarietà che hanno cercato di spiegare la mia malattia e la mia cecità, da quelli pubblicati dall’Osservatorio per le Malattie Rare, a Libero Reporter, al Centro Sant’Alessio di Roma, alla Mitocon ONLUS, alla Federazione Uniamo, a Superando, eccetera.

Come rappresentante dei pazienti affetti da malattie rare della vista partecipo a molti convegni in Europa e la mia tragica vicenda ha fatto il giro del mondo. Nessuno straniero riesce a comprendere come possa succedere una cosa del genere in un paese cosiddetto civile. Da anni si chiede che nelle Commissioni INPS ci sia un rappresentante della specifica malattia rara e finalmente adesso che ci sono i centri ERN anche in Italia, l’INPS se ne dovrebbe avvalere.

Ora sto lottando affinché nessun altro debba mai subire la gogna che ho dovuto patire io, che ho avuto solo la fortuna di essere stata circondata e sostenuta dall’affetto della mia famiglia e di tutti quelli che mi conoscono. Sono situazioni in cui una persona debole e abbandonata a se stessa si sarebbe suicidata!

In un paese civile la cecità dovrebbe essere vissuta serenamente, ma ora ci sono molti ciechi che sono a conoscenza della mia vicenda e sono terrorizzati di fare la stessa fine, colpevoli di aver acquisito quell’autonomia di movimento che peraltro viene loro insegnata presso gli istituti preposti e che le Istituzioni stesse sostengono.

Loro, tuttavia, hanno il vantaggio di non dover essere strumentalizzati e massacrati solo perché vi è l’interesse di colpire un loro coniuge e non rischiano di essere sbattuti su un giornale con foto, nomi e cognomi.

L’altro giorno, in vista dell’imminente nomina del Capo di Stato Maggiore della Marina, è dunque uscito l’ennesimo articolo che sottolinea la mia vicenda e che, tuttavia, ha consentito anche ai più dubbiosi di comprendere che evidentemente vi è una precisa strategia per colpire mio marito sfruttando la mia tragedia.

Sono una donna di Fede e da questa traggo la mia forza per andare avanti e combattere il male che pervade la nostra società, anche a sostegno dei più deboli, per dare loro coraggio e speranza.

Malgrado tutto quello che mi è accaduto e malgrado gli scandali che stanno scuotendo in questi giorni la Magistratura, voglio continuare a credere nella giustizia e sono confidente che in appello, grazie anche alla presenza di 3 giudici, potrò finalmente contare sull’assoluzione e riprendermi così la mia vita.

Per l’ormai imminente nomina del Capo di Stato Maggiore della Marina, che vinca il migliore.

Conosco bene mio marito e so che l’unico interesse che ha è di servire l’Italia, che ama, e non di sedersi su qualche importante poltrona. Mio marito ha sempre avuto il coraggio di dire quello che pensa, nell’interesse delle Istituzioni e dei valori in cui crede, senza mai preoccuparsi della sua incolumità e della propria carriera. Non ha mai ceduto a manipolazioni e ricatti e l’ho visto piegare la schiena solo in attività di giardinaggio, mai per genuflettersi. Non ha agganci politici e non li ha mai cercati, pensando solo a fare del suo meglio per contribuire al progresso di questo Paese e della sua amata Marina, di cui forse dovrei essere gelosa. Sarà per tutto questo che qualcuno lo vuole distruggere.

Gentile Signora Ministro, sono certa che la Sua sensibilità La porterà a leggere fino all’ultima riga di questa lunga lettera e La ringrazio pertanto per l’attenzione che mi ha riservato, augurandole ogni successo per il bene della nostra amata Italia.

Paola Morandi Treu

https://www.liberoreporter.it/2018/10/in-evidenza/esclusiva-i-dettagli-inquietanti-del-caso-di-paola-morandi-treu.html

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