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La transizione energetica può costare circa 1/3 la produttività delle imprese più inquinanti nei prossimi 5 anni. Solo nel lungo periodo, la produttività tornerebbe a crescere, superando persino quella attuale.

Questo è il rapporto in chiaroscuro della Bce poche settimane dopo che la Commissione europea ha svelato i suoi nuovi target di riduzione delle emissioni al 2040: dovranno essere il 90% in meno rispetto ai valori di riferimento del 1990, prima di arrivare all’azzeramento entro il 2050.

L’obiettivo, ampiamente dichiarato, è far diventare l’Europa il primo continente climaticamente neutro al mondo, anche se il nuovo target è contenuto in una comunicazione di orientamento e non in un vero e proprio provvedimento normativo.

Dopo le elezioni di giugno, si vedrà se questo obiettivo sarà messo nero su bianco dal nuovo esecutivo. Intanto, la strada verso la transizione green dell’Ue è tracciata da tempo con il Green Deal europeo, di cui la Bce ha approfondito le conseguenze, lanciando qualche allarme sulla produttività delle imprese europee. Come sempre, la sfida è trovare un equilibrio tra la sostenibilità ambientale e la produttività, la redditività delle imprese.

Un equilibrio complesso e spesso analizzato attraverso la dialettica partitica e le relative prese di posizione. Il report redatto dagli esperti dell’Eurotower è l’opportunità per approfondire il tema dalla posizione super partes e istituzionale della Bce.

Quanto costa la transizione green

Sulla base delle stime realizzate dallo studio, si prevede che una stretta “green” decisa e rigorosa abbatterà di circa 1/3 le performance economiche delle aziende comunitarie più inquinanti nei prossimi 5 anni. “La transizione verde – si legge nel report – può stimolare l’aumento della produttività, ma ci vorrà tempo”.

A destare preoccupazione nel breve-medio termine è l’aumento dei costi di produzione determinato principalmente da due fattori:

– le nuove imposte sulle emissioni di CO2;

– le tensioni geopolitiche in atto in Ucraina e in Medio Oriente

Gli esperti dell’Eurotower muovono le proprie considerazioni dai dati raccolti in sei tra le più grandi economie nell’area della moneta unica: Italia, Germania, Francia, Spagna, Portogallo e Belgio. Per simulare quali possano essere le ricadute economiche della transizione energetica, si sono considerati le conseguenze di pandemia e caro-energia.

Gli autori del report, però, evidenziano che in quei casi, gli effetti negativi sono stati contenuti grazie a “generosi e rapidi interventi a livello nazionale ed europeo” che hanno sostenuto famiglie e imprese senza produrre effetti distorsivi sull’economia. Una soluzione che, per natura, non può essere strutturale, al contrario della transizione green.

Da qui il monito degli economisti dell’Eurotower che però specificano: “i costi della transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2 saranno sempre inferiori rispetto a quelli dell’inazione”. Come dimostrato da diversi studi, infatti, non investire nella transizione aumenterebbe esponenzialmente i rischi delle aziende e dei cittadini connessi ai disastri ambientali. Secondo le stime, ad esempio, le alluvioni dello scorso anno hanno generato danni per oltre 200.000 dollari a testa per gli emiliani colpiti, con una particolare vulnerabilità degli imprenditori che, in poche ore, hanno visto spazzare via la loro attività, la loro fonte di guadagno.

Uno scenario sempre più concreto, da cui l’assicurazione obbligatoria contro i disastri naturali in capo alle imprese, da stipulare entro il 2024.

Imprese italiane le più esposte

In pratica, dunque, la sfida sarà uscire indenni dalla prima fase della transizione. Una lotta per la sopravvivenza in cui rischiano soprattutto le imprese italiane e tedesche. Solo un mese fa, infatti, l’Eurotower aveva spiegato che le imprese nostrane e quelle della Germania sono “
le più vulnerabili
” tra i principali Paesi dell’eurozona.

Diversi i rischi che minacciano il tessuto imprenditoriale dei due Paesi:

– la stretta monetaria;

– le turbolenze nel commercio globale;

– le tensioni geopolitiche.

A rischio, ha spiegato la Bce, il 9% delle imprese italiane, con una esposizione maggiore nel settore industriale, dove le dichiarazioni di fallimento che superano i livelli pre-pandemia. Situazioni su cui pesa anche la crisi demografica.

Le imprese a rischio mostrano una tendenza a investire meno rispetto alle imprese sane, e si registrano aumenti nei crediti deteriorati per le aziende in difficoltà.

I diversi impatti della politica green

Gli economisti di Eurotower spiegano che l’impatto economico cambierà in base alle misure. Le politiche ambientali e la produttività aziendale sono strettamente intrecciate, ma l’impatto delle diverse misure può variare significativamente nel tempo.

Ad esempio, si prevede che le politiche di sostegno pubblico alla ricerca e allo sviluppo “green” possano far calare la produttività in fase di transizione, per stimolare la crescita in un secondo momento.

La possibile contrazione della produttività a seguito della transizione energetica, segue diversi canali:

– soprattutto nella prima fase, molte aziende possono avere difficoltà nel reagire a crisi di mercato, per via dell’adattamento alle nuove materie prime, ai nuovi strumenti e ai nuovi meccanismi di produzione (minore elasticità delle imprese);

– le nuove tecnologie verdi possono essere meno efficienti di quelle esistenti;

– gli investimenti nelle tecnologie verdi potrebbero escludere altri investimenti volti a migliorare la produttività;

Tuttavia, secondo il documento, a impattare di più sulle imprese europee saranno gli strumenti “non di mercato”, le norme che si basano sul principio del “chi inquina paga” come la nuova imposta sul carbonio alla frontiera (Cbam) e il sistema di scambio delle quote di emissione (Ets). Queste politiche, spiega ancora la Bce nel suo report, possono avere effetti negativi ridotti ma persistenti sulla produttività delle imprese, soprattutto nei settori industriali ad alta intensità di carbonio.

La tecnologia al servizio delle imprese

Un ruolo chiave nella resilienza delle imprese può essere giocato dall’evoluzione tecnologica che deve andare di pari passo con quella energetica. Da Francoforte spiegano che l’impatto negativo sulla produttività delle aziende “potrebbe essere compensato a lungo termine dall’adozione di nuove tecnologie più ecologiche e digitali”. Sullo sfondo, l’Intelligenza artificiale che può diventare un prezioso alleato delle imprese per evitare di fallire, prima, e per riprendere a macinare, poi.

Non solo: l’Ia può dare un’accelerazione decisa alla transizione green che assume sempre di più le sembianze di una corsa contro il tempo. Entrambi gli ambiti, Esg e Ia, assumono significato grazie ai dati.

L’Esg, che sta per Environmental, Social e Governance, rappresenta infatti un metodo di valutazione delle performance aziendali che si basa su criteri mirati a misurare l’impatto delle operazioni su vari aspetti legati alla sostenibilità ambientale, alla responsabilità sociale e alla governance aziendale.

Questi criteri includono anche l’analisi dei rischi aziendali, degli investimenti e delle operazioni, offrendo una visione approfondita sul rispetto delle normative ambientali, sul coinvolgimento dei dipendenti, sull’etica aziendale e sulla capacità di interagire con gli stakeholder che contribuiscono alla creazione di valore.

Sempre di più l’Ue (con la direttiva Csrd in primis) richiede alle imprese un quadro sempre più completo e dettagliato dell’impatto ambientale e sociale delle aziende europee. Valutazioni che sono ormai fondamentali anche per la valutazione finanziaria dell’azienda come dimostra il fatto che le aziende con migliori prestazioni Esg rendono anche (molto) meglio in borsa.

L’Ia permette di misurare in maniera estremamente rapida e precisa parametri come le emissioni di gas serra, i consumi energetici, la gestione dei rifiuti e l’impatto della catena di approvvigionamento. In questo modo, le imprese possono risparmiare in termini di risorse economiche e umane, che altrimenti sarebbero allocate nella valutazione di questi indici.

Una tecnologia tutt’altro che priva di rischi (ne abbiamo parlato qui con l’avv. Guido Scorza), ma che può aiutare le aziende anche a massimizzare l’efficienza e minimizzare gli sprechi in fase di produzione, non solo di analisi.

Questa tecnologia consente di efficientare gli sforzi e le risorse utilizzate anche grazie ad una capacità predittiva esponenzialmente maggiore rispetto a quella umana. In pratica, l’Intelligenza artificiale ‘calcola’ la soluzione più efficiente per l’impresa senza che quest’ultima utilizzi tempo e risorse per trovare la soluzione migliore. In ultima istanza, l’Ia può permettere alle aziende di sviluppare modelli di apprendimento automatico che aiutano a comprendere e monitorare i rischi Esg, così come a identificare le aree di business in cui è possibile apportare miglioramenti significativi e, quindi, aumentare la produttività.

Le nuove tecnologie cui fa riferimento la Bce nel report, possono aiutare le aziende italiane e non a sopravvivere nella prima fase della transizione green, prima che la produttività torni a cavalcare.

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