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Svelato il mistero dell’approdo nel Sud Italia della Xylella ‘killer’ che ha ucciso milioni di ulivi pugliesi: il patogeno – che ha provocato una vera e propria pandemia come il coronavirus – sarebbe arrivato in Puglia nel 2008 trasportato da una pianta di caffè del Costa Rica. Secondo uno studio condotto da scienziati in Italia, Francia e Stati Uniti – pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica ‘Nature’ e a cui ha partecipato la ricercatrice italiana Maria Saponari del Cnr-Ipsp di Bari – il batterio Xylella fastidiosa è arrivato per la prima volta in Italia nel 2008, su una pianta di caffè, e successivamente si è adattato agli ulivi nella regione meridionale della Puglia, finendo per uccidere milioni di piante. Lo studio fa anche luce su alcuni tratti genetici che potrebbero aver aiutato il batterio a diffondersi. “Xylella fastidiosa -spiega Saponari- è un patogeno invasivo che può infettare almeno 595 specie di piante. È stato scoperto in Europa nel 2013, dopo l’inizio di un’epidemia tra gli ulivi della Puglia, per poi diffondersi in Francia, Spagna e Portogallo. Provoca il cosiddetto Complesso del Disseccamento Rapido dell’Olivo (CoDiRO), che fa seccare foglie, ramoscelli e rami, uccidendo rapidamente la pianta”.

Il nome fastidiosa deriva dalla difficoltà di coltivarla in laboratorio, spiega Maria Saponari, ricercatrice dell’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del Consiglio nazionale delle ricerche di Bari, che ha partecipato allo studio. “Mentre batteri come l’Escherichia coli sono facili da coltivare in vitro in 24-48 ore, è molto difficile estrarre la Xylella dalle piante” dice. Ecco perché all’inizio dell’epidemia è stato difficile dimostrare che il batterio fosse la causa della morte degli alberi. Lo studio ricostruisce che tra il 2013 e il 2017, gli scienziati hanno raccolto campioni di ramoscelli da più di 70 alberi con CoDiRo, e hanno utilizzato un nuovo protocollo per estrarne il Dna batterico, concentrandosi sulla sua variabilità. “Più differenze vediamo nelle sequenze di Dna, più a lungo Xylella deve essere stata in Italia, perché significa che ha avuto più tempo per produrre mutazioni mentre si adattava al nuovo ambiente e alla nuova specie ospite” prosegue Saponari. Questo Dna è stato anche confrontato con quattro campioni costaricani di piante di caffè.

I risultati confermano l’idea che l’agente patogeno italiano provenga dall’America centrale. C’erano solo piccole differenze tra i campioni costaricani e pugliesi, e ancora meno differenze all’interno della popolazione italiana. “Questo indica che il patogeno è arrivato in Italia recentemente con un’unica introduzione dal Costa Rica, perché vediamo una sola popolazione genetica”, dice la ricercatrice. Considerando il tasso medio di mutazione di questi batteri, i ricercatori sono stati anche in grado di confermare il 2008 come l’anno più probabile di introduzione della Xylella in Italia. Questo sarebbe coerente con le prime segnalazioni di alberi infetti da parte degli agricoltori pugliesi nel 2010, poiché il periodo di incubazione della malattia può durare più di due anni. I ricercatori hanno anche condotto esperimenti in cui hanno inoculato il batterio nelle piante di caffè, e hanno diffuso l’infezione agli ulivi in modo controllato usando gli insetti chiamati ‘sputtachine’ (il vettore naturale della Xylella), dimostrando così che il batterio può passare da una specie all’altra. Le differenze tra i genomi costaricani e italiani, anche se piccole, sono rilevanti.

“Negli ultimi anni focolai a Nord di Bari ma l’epidemia è inferiore grazie alle misure di contenimento”

“Il ceppo italiano ha perso alcuni geni e ne ha acquisiti altri, potenzialmente correlati all’adattamento agli ulivi pugliesi”, sottolinea ancora Saponari. Questi geni potrebbero diventare nuovi bersagli per combattere la malattia, ad esempio modificando il batterio in modo che non possa più infettare gli ulivi. Per confermare questa idea, gli scienziati avrebbero bisogno di creare un ceppo mutato di Xylella, con geni silenziati o aggiunti. Ma tali studi saranno difficili da eseguire in Italia, a causa della mancanza di impianti con le strutture di quarantena necessarie per manipolare il patogeno, avverte Saponari.

La malattia crea ancora problemi in Puglia, anche se l’epidemia sta rallentando rispetto ai livelli raggiunti tra il 2015 e il 2018 intorno alle città di Lecce e Brindisi. Saponari rileva infine che “negli ultimi anni abbiamo riscontrato focolai nella zona di Bari, a nord, ma la diffusione dell’epidemia è inferiore, grazie alle misure di contenimento e al fatto che questa zona è più diversificata, con colture e paesaggi diversi che frenano la diffusione”.

(AdnKronos)

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