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(Adnkronos)

Biometano sì, biometano no. Da una parte, il suo ruolo è centrale per lo sviluppo della cosiddetta ‘economia circolare’, ma dall’altra c’è ancora resistenza, in particolare nei territori dove se ne prevede la realizzazione. Le obiezioni? Esalazioni di cattivo odore, emissioni inquinanti, impatto visivo, circolazione di camion per il rifornimento degli impianti, sviluppo di batteri patogeni. Tutte criticità superate, perché le moderne e consolidate tecnologie permettono di costruire impianti che funzionano bene e che prevengono ogni problema.

A fare luce sulle ‘bufale’ che circolano sul tema, la campagna dedicata alla corretta informazione ambientale “Unfakenews” di Legambiente e Nuova Ecologia. Vediamole, esaminandole una ad una e analizzando anche i vantaggi. A partire da una domanda fondamentale: cos’è il biometano? Il biometano è un gas rinnovabile, prodotto da un processo di trasformazione della materia organica tramite digestione anaerobica, cioè priva di ossigeno.

I vantaggi: compost ed energia pulita dai rifiuti

Gli impianti che permettono questa trasformazione rappresentano anche la soluzione ottimale per il trattamento di rifiuti organici differenziati, scarti dell’agroalimentare, deiezioni animali e fanghi di depurazione. Si risolve il problema del loro smaltimento e dalla loro lavorazione si ottengono due prodotti di vitale importanza, il biogas e il digestato da trasformare in compost di qualità.

Il primo, trasformato in biometano, sostituisce il gas naturale di origine fossile e può essere immesso nella rete di distribuzione per consumi domestici o per i trasporti. Il secondo può essere riutilizzato in agricoltura, restituendo carbonio ai suoli e permettendo la riduzione dell’uso di fertilizzanti chimici.

Il nodo: dove fare gli impianti?

Il primo punto fondamentale è dove collocare gli impianti e il loro dimensionamento. La soluzione ottimale è realizzarli su scala provinciale, nelle aree industriali, nei pressi dei luoghi di maggior produzione dei rifiuti in modo da limitare al massimo lo spostamento di questi ultimi sul territorio.

In merito alle dimensioni, servono uno sguardo prospettico e una buona pianificazione: nei prossimi anni le percentuali di raccolta differenziata dell’organico aumenteranno inevitabilmente e di questo bisogna tenerne conto già da subito, senza dimenticare che le altre matrici, come i reflui zootecnici, gli scarti agroalimentari e i fanghi da depurazione, andranno trattate comunque in altri impianti realizzati ad hoc.

Per quanto riguarda gli scarti agricoli e i reflui zootecnici la localizzazione migliore del digestore è tendenzialmente baricentrica ai luoghi di produzione. Gli impianti per i fanghi di depurazione dovrebbero essere realizzati nei siti dove sono gli impianti di trattamento delle acque reflue.

Odori ed emissioni? Non con le tecnologie ormai a disposizione

Il rifiuto organico immesso nel digestore anaerobico matura in un paio di mesi e si degrada in parte solida, che diviene compost dopo una seconda fase aerobica di processamento del digestato inizialmente prodotto, e in biogas. Quest’ultimo ha una composizione variabile, influenzata soprattutto dal tipo di materie prime utilizzate: nel caso d’uso di biomasse agricole o di Forsu, mediamente ha un contenuto di metano (CH4) dal 55% al 65%, il secondo principale componente è l’anidride carbonica (CO2 pari al 35-45%), contiene poi, in piccole percentuali, idrogeno solforato (H2S), ammoniaca (NH3), vapore acqueo (H2O).

In un impianto apposito, si effettua il processo di raffinazione attraverso il quale si trasforma il biogas in biometano, eliminando sia la maggior parte dell’anidride carbonica (processo di upgrading), sia i composti presenti in piccole quantità (processo di purificazione). Ammoniaca e idrogeno solforato determinano un impatto odorigeno, oltre a essere dannosi per la salute, ma le consolidate tecnologie dei nuovi impianti hanno risolto il problema delle emissioni inquinanti e degli odori.

Nella fase di upgrading infatti, la miscela di gas viene depurata attraverso la rimozione di solidi in sospensione e tracce di altri gas (H2S, H2O, NH3) tramite processi quali filtrazione fisica, desolforazione, deumidificazione e filtrazione su carboni attivi. Mentre la precedente fase di digestione anaerobica avviene in reattori chiusi, in assenza di ossigeno e senza rilascio di emissioni gassose in atmosfera. Le emissioni inquinanti durante il processo sono minime rispetto ad altri tipi di impianti e sono più controllate. Altri odori sgradevoli possono provenire dalle fasi di trasporto e stoccaggio del materiale in arrivo e in uscita. Per questo i moderni impianti prevedono un ambiente chiuso per il recepimento e lo stoccaggio del materiale, dotato di unità di captazione e trattamento aria, che previene la diffusione degli odori.

Italia secondo produttore di biogas in Europa e quarto al mondo

Ulteriori dubbi sono legati allo sviluppo di batteri patogeni, ad esempio clostridi, nel digestato. La letteratura scientifica, tuttavia, è ampiamente concorde nel ritenere che il processo di digestione anaerobica abbatta il contenuto della maggior parte dei batteri nocivi per l’uomo, rendendo più sicuro l’uso del digestato rispetto al refluo tal quale in ingresso. I risultati infatti indicano non solo una sostanziale neutralità dei processi anaerobici ma anche un’evidente tendenza alla loro diminuzione dopo la digestione.

L’Italia con i suoi 2mila impianti (l’80% dei quali è in ambito agricolo) è il secondo produttore di biogas in Europa e il quarto al mondo, ma il potenziale produttivo di biometano potrebbe essere più elevato. Oggi secondo il Consorzio Italiano Biogas solo il 15% dei reflui zootecnici viene trattato in biodigestori che producono biometano e nei prossimi 10 anni questa percentuale potrebbe salire al 65%, passando dalla produzione annua di 1,5 miliardi di m3 di biometano a 6,5.

Anche la ‘materia prima urbana’ per alimentare la filiera è in crescita: nel 2019, a livello nazionale, sono stati raccolti 7,3 milioni di tonnellate di frazione organica di rifiuti urbani. La raccolta differenziata dei rifiuti urbani è al 58% e la frazione organica rappresenta circa il 40% del totale dei rifiuti urbani differenziati. Secondo l’ultimo rapporto del Consorzio Italiano Compostatori, i 56 impianti di compostaggio e digestione anaerobica per la produzione di compost e biogas hanno trattato circa 3,5 milioni di tonnellate di rifiuti organici differenziati; gli impianti che producono biometano dalla Forsu invece sono invece 8.

“La digestione anaerobica per produrre biometano e compost di qualità – dichiara il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – è un processo che comporta notevoli vantaggi su diversi fronti: permette la chiusura del ciclo di frazione organica differenziata, sottoprodotti agroalimentari, reflui zootecnici e fanghi di depurazione; garantisce la restituzione del carbonio al suolo per fermare i processi di desertificazione; produce energia rinnovabile, decarbonizza i trasporti, combatte l’inquinamento atmosferico e la crisi climatica. Per questo è necessario colmare il deficit impiantistico ancora esistente in vaste aree del nostro Paese, soprattutto nel centro sud, attivando veri processi di partecipazione territoriale, e analizzare gli impianti sia dal punto di vista della sostenibilità che da quello della circolarità, ponendo l’attenzione sui grandi benefici per i territori coinvolti”.

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