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Non avevo alcuna intenzione di prendere carta e penna, per motivi strettamente personali, né tanto meno per rispolverare l’odissea dei 2 Fucilieri di Marina sulle cui vicende ho scritto oltre un centinaio di articoli da quando è iniziata quella triste storia, il 15 febbraio 2012, oltre 8 anni fa, ma il coro enfatico dei media di piena e totale soddisfazione per  la sentenza che la Corte dell’Aja ha appena emanato, mi stimola ad esprimere alcune considerazioni, spero conclusive.
Nel silenzio mediatico dei più, e di alcuni personaggi “contro”, circa un anno fa, i primi del luglio scorso, è iniziata l’udienza finale presso la Corte arbitrale dell’Aja chiamata a decidere sulla giurisdizione – se Italia oppure India – per il titolo formale a processare i 2 Fucilieri di Marina, accusati di aver sparato e ucciso 2 pescatori indiani al largo del Kerala, in Oceano Indiano, nel corso di una missione antipirateria da bordo dell’Enrica Lexie, battente bandiera italiana. La singolare e penosa odissea dei 2 Sottufficiali del San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, iniziata nel 2012, è stata caratterizzata da abusi, inganni e reiterate umiliazioni fin dal loro primo arresto dagli indiani, ma anche da comportamenti nostrani, spesso ondivaghi e perfino censurabili, di ben quattro diversi governi e relativi ministri della Difesa ed Esteri che si sono succeduti nel tempo. Soltanto nel giugno 2015, a fronte dell’approccio tetragono dell’India, dopo oltre 2 anni di “palleggio” politico, da quel marzo 2013 quando l’allora Miniesteri Terzi si dimise onorevolmente avversando la improvvida decisione del governo Monti di rinviare i 2 Marò in India e richiedendo contestualmente l’Arbitrato, veniva finalmente avviata la procedura internazionale presso la Corte dell’Aja tenuta a dirimere eventuali controversie, come quella in specie.

La soddisfazione per quella decisione è sicuramente condivisibile e assai importante, ma quella ostentata da un coro di  testate e personaggi che a suo tempo si mostrarono neutri se non “giustizialisti” desta meraviglia e stupore. Peraltro, per chi ha seguito quella vicenda nel dettaglio, pur tenendo conto della acclarata debolezza italiana in campo internazionale e dell’arroganza indiana,  sussistevano tutti gli elementi  del contesto di quel sinistro e riconosciuti motivi giuridici affinché il verdetto arbitrale fosse a favore dell’Italia, considerato – fra l’altro – il comportamento scorretto tenuto dagli indiani, perfino dai loro giudici, contro ogni regola ed etica del Diritto internazionale.

L’Italia – lo si ricorda – rivendicava la giurisdizione del caso in quanto, oltre a essere avvenuto in acque internazionali, coinvolgeva 2 soldati incaricati di svolgere compiti “speciali” di protezione antipirateria, imbarcati su una nave italiana; loro hanno quindi agito in quanto “organi dello Stato italiano” e, come tali, destinatari di immunità funzionale nei riguardi di Stati terzi, secondo una specifica normativa di diritto internazionale consuetudinario, vincolante per qualsiasi Nazione.    Per contro, l’India ribadiva la titolarità  nel processarli e la volontà di appurare la questione circa l’uccisione dei due pescatori che, ancorché avvenuta al di fuori delle acque territoriali, doveva comunque essere soggetta alla loro normativa nazionale, ritenuta di rango “superiore” a quella internazionale.

Difficile mettersi nella testa di quei giudici, ma quell’Alta Corte come avrebbe potuto disconoscere la questione primaria, nonostante i vari rinvii, concernente il loro status di militari, organi dello Stato e della connessa immunità funzionale conferita per legge e per diritto, senza tener di conto del contesto internazionale in cui si sono svolti i fatti, e sottacendo l’impegno formale dell’Italia di combattere la pirateria secondo la UNCLOS e la Risoluzione 1816 dell’ONU?
Con quale “avvitamento” la Corte avrebbe potuto glissare sulla giurisdizione poi, considerato che la UNCLOS all’art. 97 chiarisce inequivocabilmente che “in caso di incidente di qualsivoglia tipologia occorso in navigazione in acque internazionali, la giurisdizione spetta allo Stato di “bandiera” della Nave”?

Né potevano essere accettate le affermazioni gratuite degli indiani per contestare in quello scenario la posizione della nave in acque internazionali (!) visto che l’incidente è occorso a 33 miglia dalla costa, e quindi ben al di fuori delle previste 12 miglia territoriali, e  né rivendicarne la posizione nella zona economica esclusiva (??) che arriva a 200 miglia, in cui pretendevano addirittura di applicare una loro normativa penale nazionale; inoltre non potevano essere tollerate futili argomentazioni sul fatto che i 2 fucilieri operassero – a loro dire – per conto dell’armatore e non dello Stato italiano. Tuttavia, nell’intera vicenda, è opportuno riconoscere anche le nostre colpe e i nostri tentennamenti in particolare per quanto attiene i governi che, come noto, hanno tergiversato per anni nell’avvio dell’Arbitrato internazionale,  con dichiarazioni sempre roboanti ma insensate e spesso inconcludenti.  E’ altrettanto vero che la giustizia con la maiuscola non sembra albergare neppure nelle corti dell’Aja, almeno sotto il profilo della celerità nei giudizi: dalla richiesta italiana del giugno 2015, siamo arrivati ad una sentenza dopo oltre un lustro, nel luglio 2020, per la decisione finale sulla competenza giurisdizionale del caso. Intendiamoci: la sentenza a favore della giurisdizione italiana era sì auspicabile, dovuta e quasi scontata, quanto assai significativa ed importante, e pertanto degna della massima soddisfazione in quanto tale, ma la tempistica quinquennale per quella decisione non è certo encomiabile, né apprezzabile.  Tanto meno lo è nella misura in cui quella sentenza, con una sorta di “cerchiobottismo”, al limite accettabile sotto il profilo diplomatico e compensatorio, di uno Stato regolatorio ma tipicamente bizantino, dà la giurisdizione all’Italia e quindi il diritto al successivo processo, ma in compenso le sferra un “colpo basso” ritenendola responsabile di “aver violato il principio della libertà di navigazione in alto mare” stabilito dalla Convenzione del diritto del mare (UNCLOS).  Accreditando così la ricostruzione indiana (del tutto paradossale) dell’incidente e implicitamente la colpa dei 2 Fucilieri di Marina, il dispositivo arbitrale stabilisce che “l’Italia dovrà  compensare l’India per i danni fisici, materiali e morali causati dall’equipaggio…” e quindi risarcire  quei pescatori! In realtà il contesto geografico, temporale e delle varie prove ed accadimenti dimostrerebbero inequivocabilmente il torto e l’arroganza indiana e, di converso, la nostra ragione ma anche la ricorrente acquiescenza italica, fermo restando che restano importantissime le indagini ed  impregiudicato il futuro verdetto processuale della Procura romana. Paradossalmente proprio prendendo a riferimento quegli elementi di spazio e temporali oggettivamente incontestabili, a violare la libertà di navigazione nell’alto mare, più che gli italiani sembrano essere stati gli indiani per aver ingannato con artifizi ( e con forzature) i nostri  soldati imbarcati sulla Lexie, che si trovava ben al di fuori delle acque territoriali.

Nonostante ogni buona intenzione e predisposizione, tale sentenza appare tutt’altro che salomonica, poco accettabile per la sua lentezza, ma soprattutto perché mostra un “eccesso di giudizio” della Corte rispetto al suo mandato istituzionale con l’emanazione di giudizi collaterali sul merito della questione che non le  competono, anticipando implicitamente la colpevolezza dei nostri fucilieri: una vera stortura, ingiustificabile, che produrrà forti dolori di pancia ai magistrati incaricati di indagare e gestire il successivo processo per omicidio, ai 2 FCM. La nostra Magistratura si troverà già in tasca una sorta di “cambiale in bianco” difficile da trascurare!
La Corte doveva limitarsi a sancire la competenza della giurisdizione senza dilungarsi su aspetti non pertinenti; invece quella “coda compensativa” costituisce uno strascico istituzionale e giuridico che peserà notevolmente ed influenzerà il processo stesso e potrà porre seri dubbi sull’esito dello stesso condizionando la  credibilità e la reputazione degli stessi giudicanti.

Pur nella tempesta attuale in cui si trova la nostra magistratura, per motivazioni anche assai diverse, speriamo in un processo “forte e giusto” che riesca a  stabilire giuridicamente l’ innocenza dei 2 ragazzi del San Marco, senza ombre, con la totale trasparenza e dimostrare la loro completa estraneità a quel maledetto sinistro: la risposta più logica e giusta si trova già insita, a mio avviso, nel  pregevole libro-inchiesta di Toni Capuozzo all’argomento “Come è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano ancora rinviati a giudizio?” Evidentemente perché non c’entrano nulla con quell’incidente…

Purtroppo il nostro Paese ha una forzosa strada “reputazionale” in salita sul piano internazionale per un rilievo geopolitico del tutto indebolito se raffrontato a quello di un grande paese come l’India, per cui il giudizio di Alti consessi internazionali in caso di contenziosi come quello in specie ne deve tenere conto e, che piaccia o meno, deve “equilibrare con compromessi” certe situazioni, con un colpo al cerchio e l’altro alla botte, anche se tali comportamenti e le conseguenti decisioni finiscono per determinare grandi amarezze e palesi ingiustizie.

Personalmente, ed in definitiva, valuto quella sentenza con enorme soddisfazione per le decisioni prese dal Tribunale arbitrale sulla giurisdizione da sempre sostenute dall’Italia ma anche, per alcuni aspetti, un’amara vittoria di Pirro, un escamotage per uscire da un umiliante empasse con l’India, con possibili effetti deteriori sul piano istituzionale, professionale e anche personale: vedremo nei prossimi altri 5-6 anni l’operato delle nostre Procure, le loro decisioni che dovranno essere davvero del tutto oggettive per evitare pesanti critiche e anche  scevre dai giudizi impropri di quella Corte; vedremo quanti soldi dovremo versare agli indiani secondo accordi fra i governi delle due Nazioni… E, purtroppo, assisteremo ancora per molto tempo a puntate dell’odissea dei nostri 2 Fucilieri, legata alle varie fasi del processo, pur confidando nella ormai riconosciuta tenuta  ed etica di quei due Sottufficiali:  i nostri governanti e i giudici per i settori di competenza, hanno la responsabilità di addivenire alla verità vera con la massima trasparenza, celerità e giustezza, tutelando comunque la dignità e l’onore di quegli straordinari militari che, innocenti per 8 anni fino a prova contraria, hanno già subito una indebita ed assurda prigionia!  Lo meritano loro e le loro ammirevoli famiglie!

Giuseppe Lertora 

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