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Negli ultimi anni i rapporti che hanno interessato l’Italia e la Libia sono stati spesso al centro di polemiche e aspri dibattiti, soprattutto nell’ultima decade, in considerazione dei nostri pendolamenti fra Tripoli e Bengasi, caratteristici di un approccio incongruente scevro di scelte definite a  favore di un determinato partito e perciò avulsi, in sostanza, della reale complicata situazione che da tempo pervade la cosiddetta ‘’Quarta sponda’’. Purtroppo tanti e troppi sono i players che, sia all’interno, ma ormai anche a livello internazionale, sono presenti nei due schieramenti, quello del GNA (Governo di Unità Nazionale) di al-Serraj in Tripolitania, ovvero quello del LNA ( Esercito Nazionale Libico) del generale Haftar in Cirenaica, che cercano in ogni modo di spartirsi quelle terre e le relative risorse energetiche, oltre ad aver costruito e disporre di Basi e piattaforme su quelle coste da cui proiettare le loro ambizioni geostrategiche nel Mediterraneo.

La situazione in Libia oggi, a centodieci anni dall’occupazione coloniale (1911), a settanta dall’indipendenza dello Stato libico (1951) e a dieci dalla morte di Gheddafi, è divenuta sempre più fluida, instabile e assai più tormentata e complessa del periodo della colonizzazione italiana di quel “posto al sole” del nostro sogno nazionale di molti anni fa.

La caratteristica comportamentale italica è stata infatti, anche negli scenari attuali o quelli più recenti, correlata all’impronta dell’equivoco e dell’ambiguità che sembrano costituire una costante nella nostra storia, con pendolamenti fra vinti e vincitori, fra vocazioni di stretta alleanza atlantica ed un comunismo radicato, fra sensi di colpa per essere stati colonialisti ma coltivando intimamente il sogno di dominio della Libia e quindi, ora, stando formalmente con al-Serraj, ma facendo spesso l’occhiolino ad Haftar: queste ambiguità, supportate da una retorica politichese opinabile che ha visto in pratica il nostro Paese “assente ingiustificato” in quell’area così sensibile ed importante, ci hanno portato ad essere scarsamente credibili dagli stessi libici, facendoci sempre più allontanare dagli Stati che contano nell’ambito internazionale.

Infatti non solo al-Serraj è stato abbandonato o comunque non supportato nel momento del bisogno,  ma l’Italia si è mossa per saltare sul carro di Haftar quando costui sembrava vincente per poi tentare di recuperare il rapporto con Tripoli quando il generale della Cirenaica appariva come un cavallo perdente e azzoppato. Se è vero che la situazione in quella terra è davvero complicata perché ci sono troppi players sul campo che, a prescindere, pretendono fette di potere geopolitico e di accaparramento energetico da quella “signora” ormai ridotta in miseria ed alla mercé di tutti, è anche vero che la profonda crisi libica non potrà essere risolta nell’ambito nazionale in quanto il terreno di scontro si è internazionalizzato nel corso del nefasto 2020, con presenze russe e turche su fronti opposti ed altri player pronti a posizionarsi opportunamente per spolpare quel povero martoriato Paese. E’ noto che la Turchia, insieme con il Qatar, appoggia palesemente Tripoli ormai ostaggio di alcune milizie territoriali e di alcuni politici interni assai spregiudicati che, nonostante tutto, sperano nel ‘’buonismo’’ di Erdogan, il quale invece si muove su un piano narcisistico-geopolitico per il dominio ottomano del Mediterraneo, contemperando altresì alla ineludibile esigenza di mettere le mani sulle ingenti risorse energetiche libiche e sulla loro fascia marittima nell’estesa Zona Economica Esclusiva. Che, non a caso, è stata recentemente ampliata nei suoi confini andando a debordare in aree rivendicate da tempo dalla Grecia, notoriamente ostile a qualunque mossa dei turchi; le ambiziose mire del sultano turco non si fermano a prevaricare i vicini greci ma, proprio utilizzando anche la sponda libica e le basi disponibili nell’area, gli sarà offerto il destro per ampliare gli interessi e la propria influenza in tutto il Mediterraneo orientale fino ad interessare l’Egitto e lo Stato di Israele.
La fazione orientale del Generale Haftar è invece appoggiata dalla Russia, ma anche da Francia, Egitto ed EAU, paesi emiratini del Golfo Persico, ed in alcuni momenti topici pure dall’Italia che, per contro, in termini di politica estera appoggia formalmente il governo di Tripoli riconosciuto dall’ONU. In sostanza la Libia resta un Paese diviso in tre macro-aree delineate approssimativamente dalla Tripolitania di al-Serraj, dalla Cirenaica di Haftar, e dal Fezzan dove imperversano entità indefinite e milizie non statuali, spesso a carattere criminale; nelle diverse parti giocano un ruolo assai importante alcuni players, Russi e Turchi in particolare, con l’obiettivo di costruire basi militari come punti di appoggio per la proiezione di capacità nel Mediterraneo: la nostra politica incerta fra Tripoli e Tobruk ed il nostro disinteresse per un deciso intervento in Libia  ha visto pertanto scemare la nostra influenza in Tripolitania guadagnando assai poco in Cirenaica e perdendo colpi anche nei confronti delle nostre industrie petrolifere (ENI in particolare) che da sempre operano fattivamente in quelle aree.

L’Italia, la grande assente nei giochi libici, resta alla finestra senza arte né parte in politica estera con la recondita speranza che si concretizzi una pax-libica con una sorta di autonomia federata delle tre regioni predette magari con un favorevole accordo delle future rendite petrolifere: una stravagante utopia; mentre ci sarà una certezza, quella del primato nell’invio massiccio ed incontrollato di migranti verso Lampedusa.

Tutti bravi a parole; infatti quasi tutti i partecipanti al risiko libico si dicono disposti a collaborare per risolvere la crisi iniziata una decina di anni fa con la caduta di Gheddafi; con grande determinazione e in base ai loro specifici interessi giocano una partita ‘’pesante’’ sia Turchia che Russia, ma anche altri paesi presenziano alla partita libica, mentre l’Ue come al solito si defila lasciando che Francia, ma anche in minor misura Italia, tentino di accaparrarsi frammenti di influenza; ognuno gioca quindi una partita a sé stante e non ubbidisce ad altri se non al proprio interesse: emblematico il prefigurato ritiro delle truppe straniere dal suolo libico ordinato dalle N.U. per avviare il processo di riconciliazione che è svanito nel nulla.

Il caos prevale; infatti il ritiro di quei mercenari stranieri che combattono a fianco delle due fazioni libiche avrebbe dovuto completarsi entro lo scorso mese di Gennaio 2021, ma quell’accordo patrocinato dall’ONU è stato totalmente ignorato sia dai turchi che dai russi, i quali occupano ormai stabilmente circa 10 Basi con infrastrutture importanti, manufatti e perfino vere e proprie trincee: ciò a dimostrare che le due entità libiche contano assai poco, ancor meno i richiami delle N.U., e sempre più rilevano invece i loro sponsor internazionali. In altri termini ciò significa anche che quelle potenze esterne non hanno alcuna intenzione di andarsene presto da quell’area e la loro aggressiva presenza potrebbe far deragliare il fragile processo di pace e l’effimero cessate il fuoco.

Esiste pertanto, con sempre maggiore evidenza, la necessità di trovare un punto di sintesi che appiani le rivalità fra le varie milizie libiche, ma anche fra le mire delle potenze straniere; ciò appare possibile soltanto con un maggior coinvolgimento dell’amministrazione Biden con una policy ben diversa da quella attuata all’epoca dal suo ex-presidente Obama che portò al disastro dell’assalto al Consolato di Bengasi.

Biden deve stare molto accorto e non può sottovalutare il valore strategico del Mediterraneo, e neppure la fluida situazione di vari Paesi, primo fra tutti la Libia, in uno scenario in cui Mosca e Pechino con varie mosse cercano di sfruttare gli spazi lasciati vuoti dagli occidentali; in tale contesto l’Italia potrebbe giocare un ruolo significativo per una nuova strategia della NATO sul fianco Sud, se non altro in chiave di ‘’stabilizzatore’’ del bacino centrale anche per gestire al meglio il problema dell’immigrazione, con un diverso e più massiccio impiego delle Forze Navali italiane per la sorveglianza e la cooperazione fra i diversi paesi presenti: un ruolo che l’Italia non può non considerare se vogliamo ancora stare al tavolo di paesi evoluti che sappiano stare al passo con i fenomeni internazionali e giocare una partita geostrategica di notevole interesse e quindi contare ancora qualcosa nello scacchiere mediterraneo, e non solo. Se invece si continuerà a considerare il problema libico ed i fenomeni del Mare Nostrum, dal terrorismo islamico dell’ISIS al controllo dell’immigrazione, inclusi gli impatti della pandemia del Coronavirus, come qualcosa che non ci tocca direttamente, dobbiamo però aspettarci di pagare delle consistenti cambiali nel futuro sia in termini di sicurezza che di libertà, per tacere di quelle afferenti lo sviluppo e il benessere.

Nuovi personaggi entrano nella scena libica ed altri escono; in particolare sembra che al-Serraj si sia da poco allontanato per motivi politici ma anche personali e di salute, lasciando il potere nelle mani del suo vice, certo Ahmed Maitig che dovrà gestire una delicata fase di transizione insieme ad altri personaggi che potrebbero innescare ulteriori frizioni nel delicato contesto libico, nonostante i tentativi di mediazione dell’ONU. Quel Maitig è da sempre vicino all’Italia, conosce i palazzi romani e la nostra diplomazia; anche quella forzosa alleanza con la Turchia sembra non sia particolarmente apprezzata da tutti a Tripoli: il momento potrebbe essere favorevole all’Italia per approfondire i rapporti nell’asse Tripoli-Roma, con il benestare degli USA che nell’ambito delle pressioni russe-cinesi in ambito Mediterraneo, potrebbero avere interesse a supportare il nostro Paese nella fluida situazione libica. Diversamente non possiamo contare su un supporto dell’Ue sempre più a dominio francese che, invece, esprime una politica estera propria a prescindere, curando i propri precipui interessi; noi italiani non possiamo, ahimè, aspirare ad esercitare una politica estera assai attiva per ragioni storiche, né possiamo schierare truppe sul terreno come fanno spregiudicatamente i ‘’cugini’’ (Mali e Sahel docet), e non potremo aderire a richieste di armi e mezzi a favore di qualche fazione, ma sicuramente potremo giocare un ruolo attivo sia sul piano diplomatico che su quello militare e navale in particolare. Per stare nella situazione libica esistono diversi livelli di partecipazione attiva e di sostanziale supporto a Tripoli senza quei tentennamenti disdicevoli e quelle ingiustificate assenze come avvenuto in precedenza: un conto è fare la comparsa ipocrita, ed essere assenti quando invece sarebbe necessaria la presenza, altro è cooperare in modo attivo per riportare conciliazione e sicurezza in quel teatro.

Finora è stato fatto troppo poco e troppo tardi per pacificare la Libia; né basterà una ulteriore risoluzione del Consiglio di sicurezza delle NU, quell’organizzazione che Cossiga definiva ‘’un ente inutile’’, ma sarà necessario che ogni Paese dia il proprio contributo alla risoluzione della causa libica, se del caso anche con oculati interventi di soldati e armamenti moderni.

E se in tale contesto gli americani continuano a glissare, esiste il concreto rischio che le piccole potenze ricerchino un nuovo attore globale per le loro azioni e protezioni: la Cina in correlazione strategica con la Federazione russa, potrebbe costituire il global player ideale, in quanto ha ottimi rapporti con tutti, offre tecnologie a buon mercato ed è disponibile a foraggiare con soldi veri, a pioggia, paesi in difficoltà con vari strumenti pur di concretizzare il progetto faraonico della Via della Seta. Certamente non basterà invocare la pace ed è possibile che ci vengano richiesti impegni assai pesanti, senza per questo arrivare a mandare i nostri militari allo sbaraglio nello ‘’scatolone di sabbia’’, ma forse vale la pena partecipare con onestà e la consapevolezza del valore tattico e strategico che la Libia rappresenta soprattutto per noi. Molto dipenderà comunque dalle elezioni presidenziali previste per dicembre 2021 e dall’intendimento degli americani in merito, ma anche dagli attori sul campo che devono decidere se continuare a combattersi, oppure accettare mediazioni per spartirsi il potere e quindi cooperare per ricostituire una vera e propria Nazione.

‘’Non desiderare la terra d’altri’’ dovrebbe costituire comunque l’undicesimo Comandamento rispettato da tutti in terra libica; sembra che invece sia gli attori che gli spettatori siano sordi a quel richiamo etico, sempre più attratti dalle ricchezze più o meno palesi di quella terra.

Etiche sagge ma che soccombono di fronte a interessi statuali ed ambizioni sempre più aggressive nel nostro Mediterraneo: speriamo almeno che la visione geopolitica statunitense ci faccia giocare una partita sensata nello scenario libico e che noi non finiamo per fare i soliti ‘’assenti giustificati’’. Staremo a vedere.

GIUSEPPE LERTORA

 

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