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Ricusa e cita in giudizio i magistrati che ignorano le sue richieste nell’ambito di un giudizio per la revoca di un singolare fallimento e che ritiene diversi dal giudice naturale: arrestata vittima di usura (con oltre 35 processi e assoluzioni e dopo un recente intervento per un tumore) quando la legge prevederebbe la multa o la condanna per lite temeraria. Chi ha interesse a tappargli la bocca e alla conferma di una singolare e paradossale procedura fallimentare? Chi ha determinato, finora, l’impunità dei responsabili di usura determinando la prescrizione del reato?

Luigi Di Napoli cammina con le stampelle dal 9 settembre 1988, ossia, da oltre 30 anni, da quando, all’epoca imprenditore e in coincidenza con alcune battaglie contro un appalto “truccato” e dopo essere stato minacciato, venne sparato. Le uniche minacce che aveva ricevuto erano su una bobina. Fu lui ad essere processato, sospettato di avere potuto manipolare la cassetta. Il nastro fu esaminato e, dopo 8 anni, fu assolto con formula piena. Nel 1990, invece, a Gallipoli, chiedeva che i Carabinieri impedissero l’installazione di una recinzione metallica e la colata di cemento sulla scogliera. Fu processato per minaccia
a pubblico ufficiale e successivamente applicata anche la misura dell’obbligo di dimora con onere di presentarsi due volte ai giorno in caserma per firmare. Anche in questo caso fu, poi, assolto.

Dopo qualche anno, divenuto proprietario di un patrimonio che oggi varrebbe non meno di 50 milioni di euro, contestò le pretese bancarie che, fondate su rapporti instaurati alla fine degli anni ’70, erano determinate con applicazione di interessi e commissioni mai validamente pattuite e, tra l’altro, con capitalizzazione mensile. Nel 1999, il Tribunale di Lecce aveva dichiarato che la società di Di Napoli (Dinauto s.a.s.) non potesse fallire in quanto i crediti erano contestati e non vi era uno stato di insolvenza dato oltretutto che il patrimonio era di gran lunga superiore alle pretese previamente contestate. Ottiene, anzi, lui due decreti ingiuntivi, rispettivamente, contro le banche che invocavano il suo fallimento. Viene data la notizia su Il Messaggero del 13 novembre 2000 del decreto ottenuto contro una delle due. I rappresentanti di una delle 2 altre banche, invece, erano indagati per usura avendo preteso tassi di interesse fino al 292%. Il rigetto delle istanze di fallimento viene reclamato dalle tre banche. A fine novembre 2000, la Corte d’Appello di Lecce, con una composizione del collegio che Di Napoli ritiene anomala visto che due membri avevano i rapporti con le stesse banche reclamanti il fallimento, ordina il fallimento.

Dopo varie astensioni e ricusazioni dei giudici, la procedura fallimentare viene affidata a un giudice che (mentre la legge impone di formare il passivo “sentito il fallito”), dopo avere ricevuto la notifica di una citazione a giudizio per danni da parte di Di Napoli, all’udienza fa uscire questo (incensurato e con le stampelle) dall’aula da un poliziotto. Il curatore nominato con la sentenza di fallimento (che, all’epoca era anche Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lecce), rinuncia all’incarico in quanto il Giudice pretendeva che chiedesse la vendita dell’abitazione di Di Napoli malgrado vi fossero 80 lotti e sebbene la giurisprudenza fosse concorde nel vendere per ultima la “casa del fallito”. Vari curatori designati non accettano l’incarico che viene affidato a un commercialista. Viene formato un passivo ammettendo le pretese bancarie con criteri che Di Napoli contesta. La legge e la giurisprudenza costante affermano che, in sede di ammissione al passivo fallimentare, la banca deve produrre la documentazione contrattuale e tutti gli estratti conto per far comprendere come si sia formato il saldo: altrimenti la domanda di ammissione del credito viene esclusa. In ogni caso, i rapporti sorti anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. 385/1993, con applicazione di interessi “usi piazza” o senza alcuna valida pattuizione, devono essere rideterminati con applicazione degli interessi al tasso legale. Nel caso di Di Napoli i crediti vengono ammessi con applicazione del tasso massimo dei BOT previsti dal d.lgs. 385/1993 che, ai sensi dell’art. 161, non è retroattivo (come confermato dalla Corte Costituzionale con ordinanza n. 338/2009). Il patrimonio fa gola a molti visto che è costituito da oltre 80 lotti tra appartamenti, box e suoli edificatori invidiabili in quanto siti in una zona dove i terreni limitrofi non sono edificabili. Di Napoli, già nel 2005, fu costretto alla misura degli arresti domiciliari da maggio a fine settembre con l’accusa di avere falsificato il provvedimento -che aveva provveduto a trascrivere- col quale sosteneva che la sentenza di fallimento fosse sequestrata.

Nel frattempo, nell’ambito del processo penale sorto in seguito alla denuncia presentata da Di Napoli fin dal 1996, vengono rinviati a giudizio per usura i responsabili della Banca Popolare Pugliese (il Presidente e il Direttore Generale dell’epoca) ma, proprio mentre nella procedura fallimentare (i cui istanti, si ripete, erano tre banche tra le quali proprio la Banca Popolare Pugliese) Di Napoli contesta il passivo formato da un Giudice Delegato (subentrato ad altri) sua controparte, all’udienza preliminare il GUP (dott.ssa Pia Verderosa) proscioglie gli imputati. La sentenza viene impugnata sia dalla Procura sia dallo stesso Di Napoli.
La Corte d’Appello di Lecce conferma il proscioglimento che, però, viene annullato dalla Corte di Cassazione che accoglie il ricorso di Di Napoli e della Procura rinviando alla Corte d’Appello di Lecce. Quest’ultima, nel dichiarare la morte di uno dei due imputati, non si limita a dichiarare l’estinzione del reato per tale fatto, ma accerta e dichiara i tassi elevatissimi (fino al 202%) che l’imputato si era fatto promettere e pretendeva quale rappresentante della stessa banca che aveva chiesto (ottenendolo) il fallimento della Dinauto. La stessa Corte d’Appello, in conformità a quanto deciso dalla Cassazione, rinvia al Tribunale, invece, il processo a carico dell’altro imputato. Il Tribunale di Lecce, tuttavia, nel marzo 2015, dichiara la prescrizione del reato. Su ricorso della Procura Generale e della persona offesa Di Napoli, la Corte d’Appello di Lecce il 22 gennaio 2020 conferma la prescrizione del reato.

Ritorniamo alla sentenza di fallimento (del 2000) che fu confermata in primo e secondo grado (rispettivamente, nel 2003 e nel 2006). I giudici dell’appello, però, erano gli stessi membri che, negli anni prima, avevano conosciuto della stessa procedura. Di Napoli propone ricorso per Cassazione che, nel 2008, viene accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Bari. Nel frattempo, però, tutti i suoi beni sono stati venduti tanto che, ad ottobre 2006, nonostante avesse anche ottenuto la sospensione ex art. 20 l.44/99 (sospensione in favore delle vittime di usura ed estorsione), viene sottoposto ad un’esecuzione per rilascio (al terzo accesso tra giugno e ottobre, periodo nel quale a Gallipoli era impossibile trovare altra abitazione per uno, tra l’altro, senza un centesimo), subendo, con la sua famiglia, un’esecuzione con circa una dozzina tra poliziotti e carabinieri che impediscono l’accesso a qualsiasi testimone. Finisce buttato sul divano in mezzo alle scale del condominio in “stato catatonico” e in stato di arresto perché, mentre trascinano il divano con lui sopra che urlava per il dolore alla gamba, si frantuma un bicchiere di vetro e un poliziotto sostiene di essere stato colpito. Portato in ospedale (e la famiglia con una figlia che allora aveva 8 anni, in una stanza di albergo), resta oltre un mese agli arresti domiciliari. Dopo qualche anno, ancora una volta, viene assolto con formula piena perché il fatto non sussiste.

Nel 2014, scopre di avere una neoformazione al rene destro. Chiede alla procedura fallimentare la chiusura del fallimento non potendoci essere un “passivo” lecito e la restituzione del residuo del ricavato, oppure, quantomeno l’importo occorrente e preventivato dal Prof. Patrizio Rigatti che gli avrebbe tolto la cisti e salvato l’organo. Gli viene negato. Nel febbraio 2018, la situazione si aggrava in quanto urina sangue.
Riformula l’istanza e viene autorizzato a farsi operare a spese della procedura ma, ormai, l’intervento conservativo non è più possibile e il 17 agosto 2018 gli viene asportato il rene.

Alla Corte d’Appello di Bari, tra il 2009 e il 2018, è costretto a presentare svariate ricusazioni chiedendo la sostituzione di magistrati per vari motivi; alcuni li cita in giudizio. Lamenta, infatti, principalmente, il mancato rilascio di copie autentiche degli atti del fascicolo o la mancata adozione di provvedimenti contro i responsabili delle banche resistenti visto che quel passivo fu formato con criteri non conformi a quanto prescritto dalla legge e dalla giurisprudenza in materia bancaria e visto anche che, nel 2012, la Corte d’Appello di Lecce, nel dichiarare la morte di uno degli imputati di usura ai suoi danni, accertò e dichiarò che le pretese nei suoi confronti erano pari al 292% di tasso di interesse.

La ricusazione, prevista dall’art. 52 c.p.c., al contrario di quanto previsto dalla norma, così come chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità costante, non sospende il giudizio che, dunque, potrebbe continuare. Ciononostante, a febbraio 2018, il Presidente di Corte d’Appello di Bari Franco Cassano, vedendosi pervenire le richieste di astensione da parte dei giudici componenti il collegio, ha, dapprima, trasmesso un esposto al Consiglio di Disciplina contro l’avv. Rigliaco, difensore di Di Napoli, nonché alla Procura sostenendo che, in tal modo, Di Napoli vorrebbe ritardare l’accertamento definitivo dell’insolvenza.
Non considera, però, evidentemente, che l’insolvenza fu già dichiarata (forse, illegittimamente) nel 2000 e i beni sono stati già tutti svenduti. Che interesse avrebbe Di Napoli, con le stampelle da 30 anni e che non ha mai avuto la serenità per sottoporsi ad intervento chirurgico, che ha dovuto subire l’asportazione di un rene (che, probabilmente, sarebbe stato curato se gli organi fallimentari avessero dato l’importo occorrente nel 2014), a cui viene negato anche l’importo sufficiente per acquistare una qualsiasi autovettura per agevolarlo nel trasporto, con una moglie anche lei invalida, a ritardare la definizione di un processo che, se fosse accolta la sua opposizione, potrebbe sfociare con la revoca della sentenza di fallimento o, al contrario, con la conferma? Essendo già stati venduti i suoi beni, certamente il fine non può essere quello di ritardare le vendite. L’ordinanza di arresti domiciliari afferma che Di Napoli evidentemente non avrebbe avuto giovamento dal suo pregresso giudiziario.

Ma quale è il vero pregresso giudiziario? Oltre 35 processi definiti con sentenza di assoluzione tanto che, anni fa, lo stesso Tribunale di Salerno, condannandolo per calunnia, lo definiva sostanzialmente incensurato. Quella sentenza di condanna, poi, fu riformata dalla Corte d’Appello che, anche quella volta, lo assolse con formula piena con una pronuncia confermata anche dalla Corte di Cassazione che dichiarò inammissibile il ricorso del Procuratore Generale della Corte d’Appello di Salerno. Ma, prima ancora: come si fa a pensare che una persona sempre assolta dalle accuse subite nelle sue battaglie e, spesso, perfino rinunciando alla prescrizione, abbia voluto interrompere un pubblico servizio e, cioè, l’amministrazione della Giustizia, con le ricusazioni e citazioni a
giudizio, se la giurisprudenza stessa è sempre stata conforme nel ribadire che la ricusazione non sospende il processo e la citazione a giudizio del magistrato per danni derivanti dallo stesso processo in corso non obbliga il giudice ad astenersi?

Il 2 settembre 2019, il Tribunale del riesame ha revocato la misura degli arresti domiciliari sostituendola con quella dell’obbligo di dimora a cui Di Napoli, pur decorsi 5 mesi, è ancora sottoposto. Il 12 ottobre e il 14 novembre si sarebbero tenute le udienze del giudizio di opposizione alla sentenza di fallimento nell’ambito del quale Di Napoli ha più volte sostenuto che quel passivo fallimentare (a causa del quale sono stati svenduti beni del valore effettivo di oltre 40 milioni di euro) è stato formato con criteri illegittimi da un giudice che era sua controparte. Il giudizio (avente ad oggetto, quindi, materia fallimentare) è stato assegnato alla Sezione Lavoro e Di Napoli ha dovuto affrontare l’udienza senza potere esercitare un suo diritto fondamentale alla ricusazione (visto lo stato di soggezione in cui si trovava e la misura da cui era stato colpito). Ma perché la Corte d’Appello di Bari non ha mai esaminato la validità del passivo fallimentare malgrado i vizi rilevabili d’ufficio? Come mai si è consentito di svendere suoli edificatori malgrado gli organi fallimentari avessero chiesto ed ottenuto la certificazione urbanistica come “suoli agricoli in stato di abbandono e incolti”? Possibile che nessun giudice né di Lecce né di Bari ha mai adottato alcun provvedimento contro i responsabili di pretese palesemente illecite (tassi fino al 292%) e che si lascia continuare a resistere nel giudizio per la revoca del fallimento? E’ proporzionata una misura di arresti domiciliari a carico di un incensurato, con le stampelle da 30 anni, senza disponibilità economica, con un rene tolto per tumore e che avrebbe bisogno di serenità e di cure per interruzione di pubblico servizio che sarebbe consistito nell’essere promotore ed organizzatore unicamente del suo avvocato di ricusazioni che, per giurisprudenza costante, nemmeno determinerebbero la sospensione? Si vorrebbe confermare il fallimento senza consentirgli di difendersi, di muoversi, di parlare e senza, così, che sia esaminato il passivo fallimentare? Chi ha determinato la prescrizione del reato di usura a carico dei
responsabili della Banca Popolare Pugliese che avevano chiesto ed ottenuto il fallimento? Di certo non la persona offesa Di Napoli visto che gli imputati erano stati prosciolti, nel 2005, con una motivazione confermata dai giudici dell’appello penale nel 2008 ma che la Cassazione, invece, nel 2009 ha annullato ritenendo, quindi, che il processo penale doveva continuare. Ha sbagliato Di Napoli a denunciare fidandosi dello Stato, oppure, visto che la Cassazione ha annullato i proscioglimenti del 2005 e del 2008, avevano sbagliato i giudici a prosciogliere determinando, così, la prescrizione e l’impunità dei responsabili?

Il paradosso nella vicenda già kafkiana è che, nel processo penale, la stessa curatela fallimentare, con l’avvocato penalista, chiedeva la condanna dell’imputato di usura (l’ex responsabile della Banca Popolare Pugliese) e il risarcimento dei danni proprio riconoscendo che la condotta della banca ha determinato il fallimento dell’impresa di Di Napoli. Nel giudizio per la revoca del fallimento, a Bari, però, la curatela si oppone alla revoca: come è possibile? Forse qualche possibile spiegazione è nella singolare difesa: la Banca Popolare Pugliese è difesa dagli avvocati Giuseppe Dell’Anna Misurale e Amelia Misurale mentre la curatela fallimentare (che dovrebbe rappresentare, oltre che i presunti creditori, anche “il fallito”) sarebbe difesa dall’avvocato Raffaele Dell’Anna (padre di Giuseppe Dell’Anna e marito dell’Avv. Amelia Misurale). E’ evidente il conflitto di interesse ai danni di Di Napoli (visto che, oltretutto, il difensore della curatela sarebbe pagato con il denaro ricavato dalle “svendite”).

Il 12 novembre 2019, l’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio avente ad oggetto l’opposizione avverso la sentenza di fallimento si è tenuta dinanzi ai Giudici della Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Bari ma, come lamentato da Di Napoli, nella privazione dei suoi diritti fondamentali visto che, minacciato con una tale grave misura a cui è ancora sottoposto, non poteva ricusarli pur confidando nella loro astensione e restituzione del fascicolo per l’assegnazione ai giudici competenti secondo i criteri tabellari. Il prossimo 20 febbraio si dovrebbe tenere l’udienza di discussione con la parte ingiustamente limitata nella libertà con una misura che sembra più un tentativo di intimorirlo e privarlo, in tal modo, di un suo diritto quale è quello della ricusazione dei magistrati che non ritiene compatibili.
Sarebbe il caso che intervenga immediatamente il Ministro della Giustizia e il Procuratore Generale della Corte di Cassazione. E’ stata presentata interrogazione parlamentare dal Sen. Elio Lannutti. Si faccia luce su questo fallimento e su chi stia cercando di legittimare le vendite di un ingente patrimonio della vittima di usura, di estorsione e di lesioni gravi.

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