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Immagine di repertorio

Distretto di Aqrabah, a sud di Damasco, in Siria: sono le ultime ore della notte, è ancora giovedì.  Sono anni che la gente non va a dormire tranquilla, sta sempre all’erta quando arriva il buio, perché è quello il momento in cui può scatenarsi l’inferno. Meno di una settimana fa un attacco, che gli Stati Uniti hanno attribuito all’Iran, ha fatto saltare i più importanti impianti petroliferi sauditi. E proprio lì, attorno al quartiere di Aqrabah, gli iraniani e le loro milizie si muovono ormai come a casa loro: è qui che in agosto sono arrivati di notte i jet israeliani. All’epoca l’attacco era stato rivendicato: gli israeliani avevano colpito alcuni obiettivi per sventare un attacco di droni contro Israele che gli iraniani si preparavano a far partire di lì a poche ore.

Adesso, con le nuove tensioni in Arabia Saudita, tutti temono che accada ancora qualcosa. Ad Al Bukamal, dove le milizie filoiraniane controllano uno dei principali passaggi tra Siria e Iraq, è già avvenuto nella serata di mercoledì, a sole 48 ore da un precedente attacco. Alcuni droni hanno colpito le postazioni iraniane e hanno ucciso cinque miliziani: volavano così bassi per evitare i radar, che la gente sul posto dice di averli visti da vicino. Fonti locali parlano di droni statunitensi partiti dalla vicina base americana di Al Tanf.

Poi all’improvviso nel quartiere di Aqrabah giovedì notte c’è l’esplosione in cielo: qualcuno la filma. E pochi minuti dopo i giornali di stato in Siria annunciano che è stato appena abbattuto un drone in cielo: qualche informazione stringata e poi basta, tanto ormai non fa più notizia. Nessuno rivendica l’attacco.

Meno di tre ore prima, diversi chilometri più a ovest, in Libano, i cieli non erano tranquilli: all’aeroporto di Beirut era appena atterrato da Teheran un Mahan Air Airbus A310. Era l’EP-MNX, una sigla dietro alla quale c’è uno dei velivoli che dal 2012 è sotto sanzione statunitense: appartiene alle Guardie rivoluzionarie islamiche, il corpo speciale iraniano che ha fatto di alcune località strategiche della Siria un avamposto militare di Teheran in Medio Oriente. L’aereo è sotto sanzioni perché si muove per trasportare armi e miliziani. Quello stesso giorno, al mattino, diverse ore prima che il Mahan Air Airbus atterrasse a Beirut, le autorità libanesi si erano rivolte alle Nazioni Unite per accusare Israele di aver attaccato la capitale con droni carichi di esplosivo mettendo in pericolo gli aerei civili che ogni giorno atterrano a Beirut.

È una notte concitata quella tra giovedì e venerdì, sono ore di guerra. Alle prime luce dell’alba del nuovo giorno l’aviazione saudita attacca in Yemen le milizie Houthi, sostenute dall’Iran, a nord del porto di Hodeidah. Distrugge alcuni siti militari che secondo le forze saudite sarebbero stati usati delle milizie filoiraniane per costruire droni e mine marine. E sono gli Houthi ad aver rivendicato l’attacco contro gli impianti petroliferi sauditi alla fine della scorsa settimana.

Intanto, nella giornata di giovedì, l’Indipendent Arabia, ha dato una notizia che qualche ora dopo è stata smentita da fonti saudite: tra gli aerei che nei giorni scorsi hanno colpito Al Bukamal, in Siria, ci sarebbero stati anche jet sauditi. A dirlo al quotidiano, di proprietà saudita, sarebbe stata una fonte occidentale che avrebbe precisato che da quella zona della Siria, l’Iran si preparava a condurre altri attacchi contro l’Arabia Saudita.

Tra notizie e smentite, nell’era dell’informazione globale non è mai stato così difficile per chi fa informazione orientarsi tra verità e depistaggi. Gli attacchi di questi giorni nei cieli di Siria, Libano e Yemen si susseguono a ritmo serrato: le fonti parlano di jet statunitensi, israeliani e sauditi, ma anche di aerei in viaggio tra Teheran e Beirut.

Ieri il segretario di Stato americano Mike Pompeo dichiarava la volontà statunitense di trovare una soluzione pacifica alle tensioni di questi ultimi giorni. Questa mattina, mentre il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif volava a New York per partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’agenzia di stato iraniana Irna riportava le minacce di un comandante delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane, Yahya Rahim Safavi, uomo vicinissimo all’ayatollah Ali Khamenei: “L’Iran risponderà dal Mediterraneo al Mar Rosso, all’Oceano Indiano contro qualsiasi complotto americano”.

Il messaggio era già arrivato ieri: il Kuwait, sui cui cieli gli americani sospettano che siano passati i missili iraniani che hanno colpito gli impianti petroliferi sauditi, ha ordinato alle proprie forze armate il massimo livello di allerta. Porti e impianti petroliferi sono presidiati giorno e notte da aviazione ed esercito. Il prossimo attacco potrebbe ormai avvenire ovunque.

MONICA MISTRETTA

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