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Nel silenzio dei media nazionali occupati nel trattare cronache minimaliste e distrattive, l’8 luglio scorso è iniziata l’udienza finale presso la Corte arbitrale dell’Aja per decidere sulla giurisdizione – se Italia oppure India – a processare i 2 Fucilieri di Marina, accusati oltre 7 anni fa di aver sparato e ucciso 2 pescatori indiani al largo del Kerala, in Oceano Indiano, nel corso di una missione antipirateria da bordo dell’Enrica Lexie, battente bandiera italiana. Non si vuole qui richiamare i momenti della singolare e penosa odissea dei 2 Sottufficiali del San Marco, iniziata il 15 febbraio del 2012, gli abusi e gli inganni subiti fin dal loro primo arresto dagli indiani, né ci si soffermerà sul comportamento, ancorché assai censurabile, di ben tre diversi governi e relativi ministri della Difesa ed Esteri che si sono succeduti nel tempo. Dopo anni di latitanza dei nostri vertici politici e militari, nel giugno 2015, a fronte dell’approccio tetragono dell’India, viene avviata la procedura di Arbitrato internazionale presso la Corte dell’Aja tenuta a dirimere eventuali controversie, come quella in specie, con specifiche interpretazioni in esito all’UNCLOS, la Convenzione ONU sul diritto del mare. L’udienza in questione durerà un paio di settimane, ma per conoscere la sentenza decisa si dovrà attendere almeno sei mesi: in linea di massima non dovrebbero esserci dubbi che il verdetto sia a favore dell’Italia, considerato – fra l’altro e anche prescindendo dai dettagli dell’evento – il comportamento scorretto tenuto dagli indiani, perfino dai loro giudici, contro ogni regola ed etica del Diritto internazionale.

L’Italia rivendica la giurisdizione del caso in quanto, oltre ad essere avvenuto in acque internazionali, coinvolge 2 soldati incaricati di svolgere compiti di protezione antipirateria, imbarcati su una nave italiana che hanno quindi agito quali “organi dello Stato italiano” e quindi destinatari di immunità funzionale nei riguardi di Stati terzi, secondo una specifica normativa di diritto internazionale consuetudinario, vincolante per qualsiasi Nazione. L’India, per contro, nel ritenersi vittima di non ben note rappresaglie, ribadisce la volontà di appurare la questione circa l’uccisione dei due pescatori, le sole vittime del caso che, ancorché avvenuta al di fuori delle acque territoriali, pretende pervicacemente di applicare la normativa nazionale indiana che – a loro dire – deve prevalere comunque su quella internazionale.

La prima questione da affrontare è, quindi, quella del loro status in quanto organi dello Stato e della connessa immunità funzionale conferita per legge e per diritto; la seconda è quella della giurisdizione, nel senso che va definito il primato della legge: se quella penale indiana o, invece, quella del Diritto internazionale che l’India ha ratificato ed accettato. Per quanto attiene al primo quesito, su cui sembrano prevalenti le contrapposizioni, lo status dei 2 Fucilieri è indubbiamente militare e la loro autorità discende direttamente dalla Legge 130 del 2 agosto 2011, istitutiva dei Nuclei di Protezione Militari; ciò in accordo con l’impegno formale dell’Italia di combattere la pirateria secondo la UNCLOS e la Risoluzione 1816 dell’ONU. Varrebbe la pena sottolineare che i 2 Fucilieri erano a bordo quale team della Marina Militare, comandati e tutelati da una norma di Legge, operando da nave mercantile ”di bandiera italiana”; non erano quindi né ex-militari, o contractors civili, ma militari in servizio distaccati sulla nave italiana Lexie, alle dipendenze operative della Squadra Navale e non certamente di un armatore.

Sulla giurisdizione poi, la UNCLOS all’art. 97 chiarisce inequivocabilmente che “in caso di incidente di qualsivoglia tipologia occorso in navigazione in acque internazionali, la giurisdizione spetta allo Stato di “bandiera” della Nave”: gli indiani contestano la posizione della nave in acque internazionali( ! )  pur essendosi verificato a 33 miglia dalla costa, e quindi ben al di fuori delle previste 12 miglia territoriali, e  ne rivendicano la posizione nella zona economica esclusiva(??) che arriva a 200 miglia, in cui vige una loro normativa nazionale; inoltre insistono sul fatto che i 2 fucilieri operavano per conto dell’armatore e non dello Stato italiano. Forse basterebbero degli avvocati non a livello di Calamandrei per smontare completamente le loro tesi basate solo su pretesti e pretese ideologiche fuori da ogni forma di diritto e in contrasto con il buon senso, per avere giustizia vera. Di certo noi italici abbiamo le nostre colpe e in particolare i governi che hanno tergiversato per anni nell’avvio dell’Arbitrato internazionale, ma la giustizia con la maiuscola non sembra albergare neppure nelle corti dell’Aja, almeno sotto il profilo della celerità nei giudizi.

La Corte Arbitrale dell’Aja, infatti, con una notizia grottesca ha calendarizzato la questione dei 2 Fucilieri di Marina, avanzata nel giugno 2015, nell’agosto del 2018, (poi rinviata al luglio 2019 per indisponibilità di un giudice), per la decisione finale sulla competenza giurisdizionale del caso. Nonostante ogni buona intenzione e predisposizione, tale programmazione appare ingiustificabile per la sua lentezza, degna di una burocrazia elefantiaca tipica del Vecchio Continente e della nostra cultura, cloroformizzata e sempre più avvezza a tempi biblici, anche nelle decisioni che riguardano direttamente esseri umani e i loro sacrosanti diritti. Che occorrano tre o quattro anni almeno… per prendere una decisione lapalissiana su un argomento chiaro sotto il profilo del Diritto Internazionale, denota un fatto abnorme che solleva dubbi e pone serie ipoteche sulla stessa credibilità di quella Corte.  Ciò, peraltro, in palese contrasto con le promesse della nostra classe politica, dal famigerato governo tecnico di Monti (che ha avuto “il merito” di un vergognoso dietro front, una Caporetto, a seguito di forti pressioni politico-industriali indiane, rinviando a Delhi i 2 fucilieri nottetempo il 21 marzo del 2013…) in poi, per cui si imboniva l’opinione pubblica con frasi del tipo… “il caso dei 2FCM sarà risolto bene e, soprattutto, rapidamente”, salvo abbandonare quei due poveri e ligi servitori del nostro Paese al loro destino senza mai dichiarare con forza e coraggio morale la nostra competenza a giudicarli, la loro innocenza e perfino la loro estraneità a quell’incidente.

Purtroppo il nostro è un Paese che ha conservato per naturale connotazione geografica un suo status, senza rilievo geopolitico, in cui il reale rispetto delle Leggi che governano o dovrebbero governare una Società per elevarla a Nazione o Stato, si è dissolto nel tempo a causa dell’annichilimento di quei valori fondanti delle società liberal-democratiche basati sul rispetto dominante delle Libertà e dei Diritti inalienabili degli individui: emblematico e attuale è il recente caso della nave ONG Sea Watch e della sua capitana che, irriguardosa delle nostre leggi e sovranità, viene ora perdonata e perfino premiata-beatificata. Abbiamo così abbandonato la cultura dei fini, dei risultati conseguiti con dignità e onore statuale, facendoci sopraffare dalla cultura dei mezzi, della comunicazione, dei dettagli che sono appannaggio di tromboni insulsi a cui poco importa di battersi per la propria bandiera e per la tutela dei propri figli e della loro libertà:  il caso dei 2 fucilieri sembra rientrare in uno stato patologico più che fisiologico di una società liquida come la nostra in cui la parola Patria, e quindi della sovranità, è soffocata dalla globalizzazione e sempre più bandita dai dizionari e dalle nostre menti. Eppure nel caso in specie l’Italia aveva davvero tante ragioni da far valere proprio in termini di diritti e norme; dal diritto internazionale all’immunità funzionale dei militari impiegati all’estero, fino alle prove della posizione dell’incidente, dalle farlocche perizie balistiche e molteplici menzogne indiane, esistevano ed esistono argomenti duri come rocce a nostro favore che però non abbiamo voluto sostenere con coraggio, muovendoci con discrezione (e opportunismi…) per evitare di infastidire gli indiani ed i loro business, lasciando spazio a roboanti e vani annunci radical-chic e populistici, sostanziati da un nichilismo galoppante che, tuttavia, non ha mai pagato. Una ulteriore riflessione appare ora opportuna in merito al mantenimento in vita di tali organismi dipendenti dalle Nazioni Unite che impiegano lustri per una decisione scontata: è il caso di mantenere quei carrozzoni inutili che ci costano una tombola, costituiti da elementi autoreferenziali e lautamente pagati, nella sola speranza che decidano qualcosa prima che morte ci colga?  Bisognerebbe forse iniziare dalle stesse Nazioni Unite, e da gran parte degli organismi dipendenti (l’ITLOS, l’UNHCR, il World Food Program, la FAO, e via dicendo) che, come noto, sono mostri voraci di denari, ma nani irrilevanti quando si tratta di coordinare operazioni di peace-keeping, di gestire migranti o anche di decidere su questioni internazionali.

Le decisioni della Corte vanno fatte nel merito, nella sostanza e quindi nel rispetto delle leggi, più che sulle opinioni o sulle formalità; la documentazione presentata al Tribunale di Amburgo evidenzia che, oltre ad inaccettabili “taroccamenti” indiani e falsità in diversi allegati,  le morti di quei due poveri pescatori sono avvenute in tempi diversi di ben cinque ore, e a decine di miglia di distanza da dove si trovava la nave Enrica Lexie, la quale – cosa ancor più grave –  è stata costretta ad entrare nelle acque territoriali del Kerala con premeditati inganni e vessazioni degli indiani. Che, peraltro, hanno spudoratamente mentito anche sulla prova balistica, tanto che l’autopsia sui due deceduti ha confermato che i proiettili letali erano di calibro diverso da quelli in dotazione ai fucilieri del San Marco.  Una solenne montatura, costruita ad arte dagli indiani per diversi motivi e mai contestata con la dovuta energia e determinazione da parte italiana, nell’arco di questi 7 anni ma che potrebbe smontata da parte del Tribunale olandese se solo lo volesse: tuttavia l’iniziativa deve partire dall’Italia che dovrebbe urlare prima la loro innocenza e la loro estraneità!
Basterebbe avere l’umiltà di leggere il libro del giornalista Tony Capuozzo e riflettere sui vari “perché” sollevati molto opportunamente nel corso di questa tragedia; troppe sono le incongruenze, i comportamenti ondivaghi e colpevolizzanti, i voltafaccia  mostrati dalla nostra classe politica in anni dal fattaccio;  inaccettabili le violazioni dell’India sia nei confronti di un altro Stato, l’Italia, sia nei confronti di due soldati; infinite sono le dimostrazioni di innocenza implicita o esplicita dei 2 FCM Latorre e Girone: se è vero che finora ha prevalso l’arroganza della “grande democrazia” indiana, “il loro teorema” barbaro e incredibile  della colpevolezza sembra incrinarsi in via definitiva e si spera  crolli completamente con la decisione finale Arbitrale dell’Aja  dando infine all’Italia la competenza della giurisdizione. Infine, dovrà svolgersi il processo per stabilire giuridicamente la loro innocenza, se non la loro completa estraneità a quel maledetto sinistro; la risposta più logica e giusta si trova, già insita, nell’ultima riflessione-statement  di Capuozzo “Come è possibile che dopo tre anni e mezzo i due marò non siano ancora rinviati a giudizio?” Evidentemente perché non c’entrano nulla con quell’incidente. Paradossalmente, pur non esistendo tuttora uno specifico capo d’accusa nei confronti dei 2 FCM dopo quasi 7 anni di detenzione o libertà vigilata preventiva, loro hanno avuto già una condanna di fatto, di questi 7 anni di pena, senza sentenza, senza processo e, soprattutto, senza colpe.  Soltanto dopo la sentenza definitiva in merito alla giurisdizione presa dall’Aja, dovrebbe iniziare il processo in Italia o in India; cioè solo allora inizierà la seconda parte dell’odissea che si spera avvenga nei tribunali nostrani i quali, comunque, secondo le tradizioni della nostra ineffabile giustizia, potrebbero richiedere tempi non brevi.

Speriamo in una sentenza favorevole, che i nostri avvocati si facciano sentire e che i nostri 2 fucilieri, meritevoli di grande apprezzamento per il loro onorevole comportamento tenuto in questa tremenda vicenda, siano supportati dalla nostra Marina, dalla Difesa e dall’attuale governo: al di là di alcune schegge impazzite o di qualche sinistro vignettista infastidito dalla loro odissea, che poi sono gli stessi che hanno difeso e premiato la delinquente Carola & company, tutti – media inclusi – dovrebbero tenere alta la guardia sul caso con un aperto schieramento a loro favore, per una doverosa tutela. Di certo lo meritano!

Giuseppe Lertora

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