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“I presidenti di regione si possono candidare senza rinunciare al loro incarico. Lo ha sancito la Corte costituzionale nel 1993”. Lo dice all’Adnkronos Giovanni Guzzetta, costituzionalista e professore di Diritto pubblico all’Università di Roma Tor Vergata, che interrogato sulla candidatura di Zingaretti senza previa rinuncia all’incarico di governatore del Lazio risponde: “E’ legittima come quella di qualsiasi altro governatore, ci sono infatti precedenti come per esempio Formigoni che da presidente della regione Lombardia si candidò al Senato”.

“La Costituzione all’articolo 122 prevede per consiglieri regionali e membri della Giunta una incompatibilità, il che vuol dire che possono candidarsi ma se eletti devono optare per l’uno o l’altro incarico – spiega il Costituzionalista – L’articolo 7 primo comma lettera A della legge elettorale del Testo unico per l’elezione della Camera dei Deputati, prevedeva invece l’ineleggibilità stabilendo che i consiglieri regionali (e Zingaretti è anche consigliere regionale), non potessero presentarsi alle elezioni se non si fossero prima dimessi. Su questo tema è intervenuta la Corte costituzionale nel 1993 con la sentenza numero 344 e ha dichiarato incostituzionale, con riferimento ai consiglieri regionali, questa disposizione proprio perché trasforma ingiustificatamente una causa di incompatibilità in una causa di ineleggibilità. La disposizione che prevede l’ineleggibilità dei consiglieri regionali non è dunque più vigente nel nostro ordinamento”.

Il punto chiave è comprendere la differenza tra incompatibilità e ineleggibilità: “incompatibilità significa che il legislatore ritiene che non si possono ricoprire contemporaneamente due cariche e quindi costringe a scegliere; ineleggibilità invece, come dice la Corte, significa che non ci si può candidare per ‘impedire – cita Guzzetta la sentenza della Consulta – che i titolari di determinati uffici pubblici possano valersi dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori'”.

La Corte stabilisce questo principio “perché il condizionamento che i consiglieri regionali possono determinare è talmente insignificante, non avendo loro poteri di governo, che è sproporzionata la previsione. Il caso Presidenti della regione invece non è espressamente contemplato, perché non c’è una norma che espressamente vieti la loro candidatura come faceva, prima della sentenza della Corte, per i consiglieri. La legge nel testo unico – conclude – non la prevede. Né sono ammesse in questa materia interpretazioni analogiche o estensive. Anche questo lo dice chiaramente la Corte”. (di Roberta Lanzara)

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