
Israele colpisce il carcere di Evin, simbolo di repressione in Iran
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Tra gli obiettivi dell’aeronautica israeliana anche la famigerata prigione di Teheran nota per torture, detenzioni arbitrarie e abusi. Tra le vittime del sistema anche due italiane
L’aeronautica militare israeliana ha colpito oggi, tra gli altri obiettivi strategici in Iran, il carcere di Evin, a Teheran. Si tratta di uno dei luoghi simbolo della repressione del regime islamico, noto da decenni per detenzioni arbitrarie, torture fisiche e psicologiche, abusi sistematici e violazioni dei diritti umani.
Un luogo-simbolo della repressione iraniana
La struttura, aperta nel 1972 ai piedi dei monti a nord della capitale, fu inizialmente utilizzata dallo Shah Mohammad Reza Pahlavi per incarcerare oppositori politici tramite la polizia segreta Savak. Con la Rivoluzione islamica del 1979, Evin divenne il cuore del sistema repressivo dei nuovi Ayatollah: furono rinchiusi filo-monarchici, dissidenti e oppositori del nuovo ordine teocratico.
Nel corso degli anni, Evin ha ospitato prigionieri politici, giornalisti, attivisti e cittadini con doppia cittadinanza, trasformandosi nel principale simbolo del terrore di Stato in Iran. Tra i momenti più bui nella storia del penitenziario, vi è l’estate del 1988, quando migliaia di detenuti vennero giustiziati sommariamente al termine della guerra con l’Iraq, secondo quanto riportato da Human Rights Watch.
Italiane tra le vittime del carcere
Tra coloro che hanno conosciuto le celle di Evin ci sono anche due cittadine italiane. Alessia Piperno, blogger, fu arrestata a Teheran il 28 settembre 2022 e rilasciata il 10 novembre dopo 45 giorni di detenzione. Più recentemente, la giornalista Cecilia Sala è stata incarcerata il 19 dicembre 2024 con l’accusa di aver violato le leggi della Repubblica islamica: è stata liberata dopo 20 giorni.
La famigerata sezione 209
La sezione 209 del carcere, che si ritiene sotto il controllo del Ministero dell’Interno, è tristemente celebre per le condizioni disumane di detenzione. I testimoni raccontano di celle sotterranee, luce accesa 24 ore su 24, e continue violenze fisiche e psicologiche. Le denunce, documentate da Amnesty International e altre ONG, parlano di un sistema punitivo studiato per annientare psicologicamente i prigionieri.
Volti noti della resistenza
Numerosi volti noti del dissenso iraniano sono passati per Evin. Tra loro il regista Jafar Panahi, l’attivista e premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi, e l’avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh. Hanno denunciato pubblicamente, spesso a caro prezzo, le atrocità vissute dietro le sbarre.
Anche diversi cittadini con doppia cittadinanza sono stati imprigionati con accuse di spionaggio ritenute infondate: è il caso di Kylie Moore-Gilbert, ricercatrice australiano-britannica detenuta per 804 giorni e rilasciata nel 2020, o di Nazanin Zaghari-Ratcliffe, britannico-iraniana detenuta dal 2016 al 2022. Quest’ultima fu liberata insieme a Anoosheh Ashoori, altro doppio cittadino detenuto per cinque anni.
L’attacco a Evin rappresenta non solo un’azione militare, ma un colpo simbolico al cuore del sistema repressivo iraniano. Resta da chiarire l’entità dei danni alla struttura e se tra i prigionieri vi siano vittime. Le autorità iraniane non hanno ancora diffuso informazioni ufficiali sull’impatto del bombardamento.
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(con fonte AdnKronos)
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