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L’affluenza alle urne sarà cruciale per determinare il futuro politico dell’Iran, mentre si fa strada la necessità di negoziati con gli Stati Uniti sulle sanzioni

Oggi si sono aperti i seggi per le elezioni presidenziali in Iran, con l’attenzione rivolta principalmente sull’affluenza degli elettori. La partecipazione sarà cruciale per determinare il vincitore e la legittimità del futuro presidente, in un contesto dove tutti i principali candidati riconoscono l’inevitabilità di un negoziato con gli Stati Uniti sulle sanzioni.

Queste elezioni rappresentano un’ulteriore opportunità per un paese che dal 1979 ha seguito un percorso turbolento tra sanzioni e isolamento internazionale. Convocate con un anno di anticipo, le elezioni si svolgono in un momento particolarmente delicato, caratterizzato dalla recente morte dell’ex presidente Ebrahim Raisi in un incidente elicotteristico e dall’attacco iraniano contro Israele in risposta al bombardamento del consolato iraniano a Damasco.

L’establishment iraniano punta su un’alta affluenza per ottenere nuova legittimità, un obiettivo ribadito dalla Guida Suprema. A differenza delle elezioni del 2021, queste non sembrano avere un esito già deciso. Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, ha definito queste elezioni “non blindate”, malgrado l’esclusione di numerosi aspiranti candidati da parte del Consiglio dei Guardiani, tra cui l’ex speaker del Parlamento Ali Larijani e l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad.

Tra i candidati rimasti in lizza ci sono Mohammed Baqer Qalibaf, attuale speaker del Majlis, Saeed Jalili, ex capo negoziatore sul nucleare, e Masoud Pezeshkian, che rappresenta il campo riformista. I sondaggi indicano un ballottaggio inevitabile, con l’affluenza che potrebbe essere decisiva. Le stime indicano che tra il 50 e il 55% dell’elettorato si recherà ai seggi. Secondo Raffaele Mauriello, docente all’Università ‘Allameh Tabatabai’ di Teheran, un’affluenza del 60% potrebbe portare alla vittoria del candidato riformista.

Mauriello ha osservato un maggiore interesse della popolazione verso queste elezioni rispetto al 2021, ma resta incerta la partecipazione effettiva, influenzata anche dalla crisi economica e dalle proteste per la morte di Mahsa Amini. Afifeh Abedi, ricercatrice presso il Center for Strategic Research di Teheran, ha sottolineato l’importanza della ricerca di un candidato presidenziale capace di colmare il divario politico e sociale del Paese.

Tutti i candidati concordano sull’importanza di risolvere i problemi economici attraverso un compromesso con l’Occidente, tema centrale di tutti e quattro i dibattiti pre-elettorali. Pezeshkian, grazie all’endorsement di figure di rilievo come l’ex ministro degli Esteri Zarif e l’ex presidente Hassan Rohani, sta guadagnando terreno nei sondaggi, ma Qalibaf rimane il favorito. Pedde prevede che Qalibaf, sostenuto dai voti ultraconservatori, potrebbe vincere al secondo turno, diventando così il prossimo presidente.

Con l’avvicinarsi della fine dell’era di Khamenei, la gestione della transizione politica diventa cruciale. Pedde ritiene che Qalibaf, un pragmatico tecnocrate, sia l’ideale per navigare questa fase delicata, vista anche la sua disponibilità a negoziare con gli Stati Uniti.

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(con fonte AdnKronos)

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