Carne sintetica: alimento o affare del futuro?
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Alimento del futuro, perché etico (visto che eviterebbe la macellazione di animali) e sostenibile per l’ambiente (perché consentirebbe di fare a meno degli allevamenti), o colossale affare per le multinazionali? Il dibattito attorno alla carne sintetica, che si sta sperimentando per l’immissione sul mercato Usa, dove ha ottenuto il primo via libera, è aperto.
“A ben guardare sembra più l’affare del futuro per un bel po’ di gruppi finanziari e multinazionali. Il rischio evidente è che il cibo, diventato una commodity, una merce di scambio sui grandi mercati internazionali come tante altre, diventi oggetto di una deriva tecnologica che lo priva di qualunque significato culturale, del legame con i territori e con le comunità che ci vivono, con i loro saperi e tradizioni”, dichiara Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia. Tra i finanziatori della ricerca sulla carne in vitro, ci sono Cargill e Tyson Foods.
Ma cos’è la carne sintetica o carne ‘in vitro’? La carne è sviluppata grazie a ormoni e lieviti ogm. Prodotti a base di ‘carne coltivata’ quindi, che – ricorda Slow Food – sono iperprocessati, contengono coloranti, aromatizzanti, addensanti, necessari per conferire loro la forma di hamburger o crocchetta, per dare consistenza e sapore di carne.
Dubbi anche sull’impatto ambientale della carne sintetica, tutt’altro che indifferente visti i grandi consumi energetici dei bioreattori necessari alla sua produzione. Per ridurre l’impatto ambientale, la soluzione è una sola, “ridurre i consumi di carne e privilegiare, in alternativa alle carni da allevamenti industriali, prodotti di aziende sostenibili dove gli animali sono allevati con rispetto” oppure legumi da coltivazioni che rispettano la terra. “Non c’è bisogno di altri sostituti altamente processati”, sottolinea Nappini.
A breve l’Ue affronterà decisioni analoghe a quelle Usa e i consumatori dovranno essere tutelati. Se sarà possibile definire in etichetta i prodotti da agricoltura cellulare con termini quali ‘carne’ o ‘hamburger’ o ‘bistecca’, la confusione sul mercato sarà totale. La trasparenza in etichetta è cruciale, è lo strumento più importante a disposizione dei consumatori per sapere cosa mettono nel carrello e fa parte di questo principio non consentire l’uso di termini fuorvianti.
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(AdnKronos)
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