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Il prossimo primo febbraio il green pass italiano durerà sei mesi dall’ultima vaccinazione o booster; sempre dal prossimo primo febbraio il certificato verde europeo varrà nove mesi per quanto riguarda il primo ciclo di vaccinazione, mentre per quanto riguarda il booster non è previsto al momento un termine. Questa discrasia pone dei problemi di legittimità? “C’è un contrasto che mi pare insanabile, un problema di legittimità e compatibilità comunitaria che a mio parere va corretto subito. Il rischio é che per i cittadini italiani la frequenza della vaccinazione sia maggiore che per gli altri cittadini europei. Il primo febbraio si creerà una situazione di conflitto tra due norme che entrano in vigore lo stesso giorno. Ma il diritto nazionale che contrasta con il diritto europeo direttamente applicabile non dovrebbe valere”. A rispondere all’Adnkronos è il costituzionalista Giovanni Guzzetta, professore di diritto pubblico presso l’università di Roma Tor Vergata, che afferma: “Dato che il Parlamento in questi giorni sta discutendo la Conversione del decreto, sarebbe opportuno che le camere dedicassero una particolare attenzione a questo punto, per evitare un contenzioso molto vasto da parte dei cittadini. Anche perché più si riduce la durata della certificazione, più sono le dosi che gli italiani sono tenuti a farsi somministrare per assicurarsi di avere la certificazione verde in Italia”.

La disciplina che entrerà in vigore in Italia dal primo febbraio e che stabilisce che il primo ciclo di vaccinazione ed il booster hanno validità 6 mesi, è stata introdotta dal decreto legge 221 del 2021 lo scorso 24 dicembre; quella stabilita in commissione europea è stata definita nel regolamento numero 2288 del 21 dicembre 2021, modificando il regolamento 2021/953 del Parlamento europeo per quanto riguarda il periodo di accettazione dei certificati di validazione rilasciati nel formato del certificato covid digitale dell’Ue da 12 a 9 mesi.

“Ci sono una serie di coincidenze abbastanza sorprendenti in questa vicenda – rileva il professore di Diritto pubblico – perché pochi giorni prima che il Governo approvasse il decreto del 24 dicembre, che riduce a sei mesi la durata del green pass, la commissione europea aveva approvato un regolamento delegato di attuazione del regolamento del consiglio del parlamento per garantire la libertà di circolazione all’interno dell’Ue stabilendo due principi sulla validità delle certificazioni: il primo che sul primo ciclo di vaccinazione la validità del certificato verde in Europa debba essere di nove mesi; il secondo che non debbano essere stabiliti al momento limiti alla certificazione relativa al richiamo o booster. Tre giorni dopo, il governo italiano ha stabilito in via generale la riduzione del certificato a sei mesi sia per quanto riguarda le prime due dosi che la certificazione con il booster. Questa divergenza pone problemi di compatibilità comunitaria”.

“Tra l’altro – prosegue Guzzetta – se è vero che la certificazione verde è stata creata per tutelare la circolazione fra i paesi, è anche vero che la differenza di durata dei certificati pone problemi sia ai cittadini europei che vengono in Italia che a quelli italiani che vanno all’estero. A quelli che vanno in Italia, perché la durata è superiore a quella italiana ma si applicano le leggi italiane; e viceversa a quelli che vanno all’estero perché nel momento in cui viene verificato il green pass all’estero, c’è il rischio che i sistemi informatici diano il certificato come non valido”.

Il problema di legittimità che si pone tra il decreto italiano e il regolamento europeo è dunque dovuto a varie ragioni: “Innanzitutto perché contrariamente a quanto prevede la legge italiana, non c’è coerenza con la disciplina europea. Inoltre perché la disciplina Ue si esprime in modo chiaro ai ‘punti considerando’ 9, 10 e 14”. In che senso? “L’Ue nei punti 9 e 10 avvisa che ‘…l’adozione di misure unilaterali in questo settore potrebbe causare gravi perturbazioni ponendo le imprese e i cittadini in un’ampia gamma di situazioni divergenti…’ ed in ‘…un’incertezza che comporta anche il rischio di minare la fiducia nel certificato covid dell’Ue e di compromettere il rispetto delle necessarie misure di sanità pubblica…’ con effetti ‘…particolarmente dannosi in una situazione in cui l’economia dell’Unione è già stata duramente colpita dal virus..’ – riferisce il giurista leggendo i ‘punti considerando’ del regolamento europeo – Al punto 14 la Commissione europea prescrive inoltre che non si ponga al momento alcun termine per la validità della vaccinazione di richiamo, mentre il decreto legge di cui parliamo ha stabilito una validità a sei mesi prevedendo che una eventuale quarta dose vada fatta dopo il sesto mese dal booster. Al contrario, adesso la quarta dose dovrebbe essere esclusa, finche non ci sarà un termine di validità della certificazione booster”.

Guzzetta spiega che il regolamento europeo ha efficacia immediata e che quindi dovrebbe essere applicato direttamente anche dalla pubblica amministrazione, la quale a sua volta “dovrebbe immediatamente disapplicare le norme interne e quindi il decreto legge, se incompatibile con il diritto europeo: Il diritto nazionale, che contrasta con il diritto europeo direttamente applicabile, non dovrebbe valere. Quindi, con questa premessa, la certificazione dovrebbe valere anche in Italia 9 mesi, mentre il booster non dovrebbe avere limiti di validità”. Invece? “I controlli vengono fatti attraverso un sistema automatizzato, nemmeno l’operatore che li fa ha possibilità di accertare le ragioni della mancata validità. Quindi, non può sapere se la certificazione è ancora valida nell’Ue ma non in Italia, con la conseguenza che si potrebbe determinare un contenzioso molto vasto da parte dei cittadini, che si vedono limitare la validità disformemente all’Unione europea”, conclude il giurista

(di Roberta Lanzara – AdnKronos)

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