Tasse sulle mance, vanno pagate? La Cassazione dice Sì
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Le mance, lasciate liberamente da un cliente, devono essere dichiarate perché costituiscono una voce tassabile del reddito da lavoro dipendente. A confermarlo è la Cassazione ricorda studiocataldi.it.
La CTR della Sardegna ha accolto l’appello sollevato da un contribuente nei confronti della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Sassari, che ne ha rigettato il ricorso avente ad aggetto un avviso di accertamento dell’Agenzia delle entrate con il quale gli è stato chiesto il pagamento delle tasse relative al periodo d’imposta del 2005. Lo stesso avrebbe infatti percepito, ma non dichiarato, mance per un valore di 73.321,00 euro nella sua qualità di capo ricevimento di un albergo. Per la Commissione Tributaria Regionale, a differenza di quella provinciale, le mance non sono tassabili perché non rientrano nella nozione di reddito da lavoro dipendente, così come definito dall’art. 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, nel testo vigente dal 2004 al 2008. Le stesse hanno infatti natura aleatoria, perché percepite dai clienti e non dal datore di lavoro.
L’Agenzia delle Entrate, soccombente in appello, ricorre in Cassazione, innanzi alla quale solleva un unico motivo di ricorso con il quale contesta la violazione e falsa applicazione dell’art 51 commi 1 e 2 del testo Unico delle imposte sui Redditi, da cui emerge che le somme percepite a qualsiasi titolo dal lavoratore dipendente contribuente in relazione al rapporto di lavoro subordinato rientrano nella nozione di reddito da lavoro tassabile. Le mance sono quindi tassabili perché rientrano della natura onnicomprensiva del reddito da lavoro dipendente, che non è rappresentato solo da salario erogato dal datore di lavoro.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia dopo aver analizzato le norme richiamate dalla stessa nel ricorso. Gli Ermellini rilevano infatti che l’attuale art. 51 del TUIR nel testo successivo alla riforma del 2004 e l’art. 48 (già modificato nel 1997) ante riforma 2004, messi a confronto presentano lo stesso tenore letterale fornendo una definizione onnicomprensiva del reddito da lavoro dipendente che è rappresentato da tutte le somme e i valori percepiti a qualsiasi titolo durante il periodo d’imposta, comprese le erogazioni liberali collegate al rapporto di lavoro subordinato.
Onnicomprensività riscontrabile anche nella formulazione dell’art. 49 del TUIR applicabile al caso di specie, dello stesso tenore del previgente art. 46 del testo ante riforma 2004, anch’esso modificato e sostituito dopo la riforma del 1997. Per la determinazione dei redditi ai fini contributivi inoltre, la legge in materia, rinvia all’attuale art. 49 del TUIR, che come abbiamo visto contiene una definizione di reddito da lavoro dipendente che non è limitata alla retribuzione corrisposta dal datore di lavoro. Per questo la Cassazione ritiene che “il nesso di derivazione delle somme che comunque promanino dal rapporto di lavoro ne giustifica, nel citato contesto normativo di riferimento, la totale imponibilità, salvo le esclusioni (e/o deroghe) espressamente previste.”
Come già osservato infatti in un’altra occasione “mentre la retribuzione è strettamente connessa, in virtù del vincolo sinallagmatico che qualifica il rapporto di lavoro subordinato, con la prestazione lavorativa, il concetto di derivazione dal rapporto di lavoro, contenuto nella norma in esame (ora art. 49 TUIR) prescinde dal suddetto sinallagma ed individua pertanto non solo tutto quanto può essere concettualmente inquadrato nella nozione di retribuzione, ma anche tutti quegli altri introiti del lavoratore subordinato, in denaro o natura, che si legano casualmente con il rapporto di lavoro (e cioè derivano da esso), nel senso che l’esistenza del rapporto di lavoro costituisce il necessario presupposto per la loro percezione da parte del lavoratore subordinato. Costituisce logica conseguenza di quanto fin qui detto che l’ampiezza del concetto di derivazione adottato dal legislatore impone di inserire nella nozione di redditi di lavoro anche gli introiti corrisposti al lavoratore subordinato da soggetti terzi rispetto al rapporto di lavoro sempre che ricorrano i suddetti requisiti.”
(AdnKronos)
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