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Dall’importanza ecologica alla valorizzazione gastronomica: tutto quello che c’è da sapere sui ricci di mare e le normative sulla loro pesca

L’abitat prediletto dai ricci di mare sono gli scogli e i fondali rocciosi, con predilezione di zone profonde e poco illuminante. La loro presenza è il segnale che le acque circostanti sono pulite, poiché per natura essi tendono a evitare ambienti inquinati, preferendo invece aree incontaminate.

I ricci di mare generalmente sono di forma rotonda e sono protetti da un guscio duro, ricoperto di spine. Gli aculei svolgono una funzione importante per l’animale, permettendogli di spostarsi lungo le pareti di roccia e nei fondali e per proteggersi dalla caccia dell’uomo. Una sorta di scudo protettivo (sotto forma di aghi) di cui alcune specie di riccio (quelle più conosciute) infilzano le mani dei pescatori senza rilasciare alcuna azione velenifera, mentre altre specie (come ad es. il riccio detto di fiori) possiede le spine cariche di veleno.

Il riccio di mare ”femmina” quello che comunemente viene chiamato “riccio femmina” o “riccio viola” è un echinoderma della specie Paracentrotus Lividus (Lamarck, 1816) distribuito su tutte le coste del Mediterraneo e parte delle coste atlantiche, predilige fondali rocciosi ricoperti di alghe e praterie di Posidonia oceanica, pianta acquatica tipica del luogo. Si presenta con un dermascheletro e aculei robusti e non fitti, la colorazione è variabile dal rossastro-bruno al violaceo. Come detto è una specie sciafila, poco amante della luce, attiva soprattutto di notte quando pascola in cerca di alghe con predilizione di Posidonia oceanica. I sessi sono separati ma non esiste dimorfismo sessuale, risulta quindi impossibile riconoscere da una semplice osservazione l’individuo maschile da quello femminile. Di Paracentrotus lividus vengono mangiate le gonadi, arancioni e di grandi dimensioni, le quali sono considerate una vera e propria prelibatezza tipica di alcuni paesi latini come Italia, Spagna e Francia.

Il riccio di mare ”maschio” quello che nella tradizione popolare viene invece chiamato “riccio maschio” è l’echinoderma appartenente alla specie Arbacia Lixula (Linnaeus, 1758), che ha un corpo sferico, più compresso rispetto alla Paracentrotus Lividus, i suoi aculei sono più lunghi e numerosi, di colore nero. Anche in questo caso i sessi sono separati e non riconoscibili esternamente, la riproduzione avviene mediante liberazione dei gameti in acqua con successiva fecondazione.
É chiaro, da quanto detto, che per entrambe le specie di ricci di mare esiste sia il sesso maschile che femminile, non riconoscibili da una semplice osservazione.

In realtà si mangia solo la specie Paracentrotus Lividus, chiamato “riccio femmina” probabilmente per il fatto che possiede delle gonadi più grosse, quindi considerate più produttive, rispetto a quelle di Arbacia Lixula. Quindi si mangiano o si prediligono i ricci femmina (e questo nulla ha a che vedere con i sessi, ma a è frutto di una credenza tramandatasi nel tempo e nata dall’osservazione delle diverse gonadi dei due ricci di mare, per cui le predilette sono quelle di femmina perché più grosse e quindi più appariscenti e belle a vista, rispetto a quelle maschili di piccole dimensioni).

I ricci di mare sono una preziosa fonte di proteine nobili e hanno uno scarso contenuto in grassi;  contengono molti sali minerali preziosi per la salute come il fosforo, lo zinco, il potassio e il ferro. I ricci di mare forniscono 100 kilocalorie ogni 100 gr di parte commestibile. Tra le vitamine sono presenti quelli del gruppo B. Sono degli ottimi antiossidanti.

In alcune zone italiane la Paracentrotus Lividus spesso è sottoposto a un prelievo indiscriminato, per questo motivo la sua raccolta è regolamentata, e vanno raccolti in determinati periodi e ciò vale sia per la pesca professionale che sportiva. I ricci di mare infatti, essendo degli attivi brucatori, rivestano un importante ruolo ecologico nel delicato equilibrio dell’ambiente marino: una diminuzione della popolazione di questi echinodermi può portare a una proliferazione algale, così come una loro sovrappopolazione può portare a fondali poveri di vegetazione (potremmo definirli volgarmente erbivori), con conseguente scomparsa di biodiversità.

I ricci e il fermo biologico

Dal 1° maggio è partito il fermo biologico per il riccio di mare che è terminato il 30 giugno (periodo di fecondazione della specie – art. 4 del D.M. 12 gennaio 1995). Nel periodo indicato, è fatto divieto di pescare, detenere, trasbordare, sbarcare, trasportare e commercializzare il riccio di mare in qualunque stadio di crescita, fattispecie severamente sanzionate dal D.lgs n. 4 del 9 gennaio 2012.

Il riccio di mare, ovvero l’Echinoidea, è a rischio estinzione, un po’ per la pesca indiscriminata esercitata sia dai privati sia dai pescatori professionisti e in parte per l’innalzamento della temperatura delle acque che sta mutando le condizioni ambientali che si rivelano non più adatte alla sopravvivenza di questi animali.

Per salvaguardare la specie la legge stabilisce il fermo biologico della pesca nel periodo della riproduzione, appunto da maggio a giugno. La legge stabilisce anche diversi limiti alla pesca durante tutto l’anno, tra questi quello di prelevare più di 50 esemplari per i pescatori non professionisti.

Alfonso Piscopo
Dir. Veterinario asp Agrigento

Ph Nino Mandracchia Ristorante Italia – Sciacca

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