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Secondo Mario Ajello, il tappabuchi de Il Messaggero, “l’uso improprio, semplicistico e propagandistico, del concetto di strage di Stato non è stato innocuo e ha contribuito negli anni bui a creare una riposta [sic] terroristica o violenta. Perché se lo Stato è un assassino, e addirittura pianifica stragi, ne consegue che la risposta violenta è legittima. E così è stata a lungo vista dalla sinistra peggiore”.

Ad esempio quella che negli anni Settanta, ai tempi del passaggio proprietario del Maomessaggero dalla famiglia Perrone ad Eugenio Cefis, aveva preso l’incontrastato dominio del quotidiano di via del Tritone.

Senza nessun rispetto per il lavoro di tanti giudici e storici “terzi” e disinteressati, e guardando alle gravissime colpe della Sinistra, ignorando al contempo tutte quelle della Destra, Ajello scrive che “la strage del 12 dicembre, nei decenni ha suscitato passioni fredde, sofferenze ignorate, strumentalizzazioni ideologiche, depistaggi giudiziari ma anche storico-politici – per esempio sottovalutare a dispetto delle sentenze la matrice Lotta Continua dell’omicidio Calabresi del ’72 – e l’occasione del cinquantenario può essere quella dell’approdo a una sobrietà che non tutti in questi decenni hanno mantenuto. Spingendosi a insistere sulla formula semplificata e altisonante di terrorismo di Stato. Senza dimostrare né sul piano giudiziario né su quello storico-documentale che un ceto dirigente di [sic] governo o una sua parte significativa abbiano pianificato la strage di Piazza Fontana e gli altri tremendi eccidi degli anni a seguire”.

Piazza Fontana, cinquant’anni dopo, è nella Storia. E la Storia non fa sconti a nessuno, e tanto meno ai rapporti tra la Cia, i servizi segreti italiani e i neonazisti veneti. Purtroppo quella di Milano si è guadagnata il nome di Strage di Stato con la quale trionfò la Strategia della tensione. Questo, ovviamente, non giustifica nessuna risposta violenta, ma nemmeno l’alterazione di una Verità ormai riconosciuta da molti di coloro che di quella strage furono responsabili.

Giancarlo De Palo

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