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Spiavano la vita intima di centinaia di privati cittadini, bambini compresi, hackerando i sistemi di videosorveglianza installati nelle loro abitazioni, negli spogliatoi di piscine e palestre o negli studi medici. Poi vendevano le chiavi di accesso alle immagini per poche decine di euro, consentendo a migliaia di utenti di spiare le persone e le loro vite. Sono 11 le persone indagate in tutta Italia dalla polizia postale, membri di due diversi gruppi criminali. L’accusa è di associazione per delinquere e accesso abusivo a sistema informatico e per ora non si è proceduto per pedopornografia. Ma le indagini, durate oltre un anno e che si sono concluse con dieci perquisizioni eseguite su tutto il territorio nazionale, procedono anche in quella direzione.

Gli investigatori della polizia postale di Milano e del Servizio polizia postale e delle comunicazioni di Roma, coordinati dalla Procura di Milano, hanno scoperto la rete dopo la segnalazione di un cittadino e l’arresto di un uomo accusato di pedopornografia nell’ambito della collaborazione con la polizia neozelandese.

Gli indagati, dieci italiani e un cittadino ucraino, senza precedenti specifici e di età compresa fra i 20 e i 56 anni, avevano tutti abilità informatiche elevate. Nei due gruppi, per uno dei quali si configura l’associazione per delinquere, ogni indagato aveva ruoli definiti: alcuni cercavano in rete impianti di videosorveglianza connessi ad internet e, una volta individuati, li attaccavano, riuscendo in alcuni casi a scoprire le password dei videoregistratori digitali. Altri, invece, valutavano gli ambienti inquadrati e la qualità delle riprese, per selezionare le telecamere puntate su luoghi particolarmente intimi, come bagni e camere da letto, per spiare le vittime durante rapporti sessuali o atti di autoerotismo.

Altri membri del gruppo, poi, attraverso ‘vetrine’ online create ad hoc, su Telegram e Vkontakte, la cosiddetta versione russa di Facebook, le mettevano in vendita sulla rete. Con soli 20 euro gli utenti potevano accedere alle immagini e, con l’aggiunta di altri 20 euro, potevano diventare clienti ‘vip’, con l’accesso alle riprese in diretta di alcune telecamere selezionate. Le chat aperte contavano oltre 10mila utenti e quelle premium circa 2mila.

Il procuratore aggiunto di Milano, Eugenio Fusco, in conferenza stampa ha parlato di un “fenomeno particolarmente diffuso che sta emergendo. Da una parte c’è la capacità di reperire queste immagini e dall’altra un mercato attento e pronto a recepire e pagare”. I due gruppi, attivi da quasi tre anni, “hanno creato un business sulla morbosità delle persone per le immagini rubate di vita privata”. I soldi raccolti, oltre 50mila euro in criptovalute nel caso di uno dei due gruppi, venivano reinvestiti nell’acquisto di software sempre più aggiornati per effettuare attacchi informatici.

Le telecamere private era spesso utilizzate come babymonitor, puntate dai genitori nelle stanze dei figli per monitorarli, ma usate dagli hacker anche per spiarli. “Visionare e detenere immagini di bambini è un reato molto grave e arriva alla pedopornografia”, ha spiegato la procuratrice aggiunta di Milano Letizia Mannella. “Chi le ha anche superficialmente visionate o detenute incorrerà in gravi sanzioni”. Gli agenti hanno sequestrato dieci smartphone, tre workstation, cinque pc portatili, 12 hard disk e svariati spazi cloud, per una capacità di storage complessiva di oltre 50 Terabyte. Sono stati inoltre sequestrati tutti gli account social utilizzati dagli indagati per il compimento delle condotte delittuose e diverse migliaia di euro, anche in criptovaluta.

(AdnKronos)

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