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Usa, dazi fino al 3.521% sui pannelli solari del Sud-est asiatico

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Published

8 mesi ago

22 Aprile 2025

Bre-news

L’amministrazione Trump punta a colpire i sussidi cinesi: le tariffe riguardano prodotti da Malesia, Cambogia, Thailandia e Vietnam. Coinvolti 12 miliardi di dollari di importazioni

L’amministrazione statunitense ha annunciato l’intenzione di imporre dazi doganali fino al 3.521% sui pannelli solari provenienti da Cambogia, Malesia, Thailandia e Vietnam, in risposta ai sussidi ricevuti da aziende locali da parte del governo cinese. La misura, proposta dall’International Trade Administration (Ita), mira a contrastare quella che Washington definisce una concorrenza sleale sostenuta da Pechino.

Secondo i risultati di un’indagine avviata nell’aprile 2024, “le aziende di ciascun Paese hanno ricevuto sussidi dal governo cinese”. L’Ita ha sottolineato che si tratta di uno dei primi casi in cui è stato possibile dimostrare l’esistenza di sovvenzioni transnazionali. I dazi proposti variano in base all’origine: 34,41% per i pannelli dalla Malesia, 38% per quelli dal Vietnam, 651,85% per la Cambogia. Alcune aziende cambogiane, come Hounen Solar e Solar Long Pv-Tech, rischiano però tariffe record del 3.521%, oltre 35 volte il prezzo dei loro prodotti.

L’ultimo passo per l’attuazione delle misure spetta all’International Trade Commission (Itc), che dovrà stabilire entro il 2 giugno se questi sussidi abbiano effettivamente danneggiato l’industria statunitense. In caso di conferma, i dazi scatteranno ufficialmente.

Nel 2023, i prodotti interessati dall’indagine hanno rappresentato un valore complessivo di circa 12 miliardi di dollari. Queste misure si sommerebbero al 10% di dazi già imposti il 2 aprile dal presidente Donald Trump sulla maggioranza delle importazioni in arrivo negli Stati Uniti, e alle cosiddette tariffe “reciproche”, annunciate ma sospese una settimana dopo.

L’indagine è partita su richiesta dell’American Solar Industry Alliance, che ha accusato i fornitori dei quattro Paesi asiatici di agire come filiali di aziende cinesi, eludendo così i dazi già imposti a Pechino e beneficiando indirettamente dei suoi sussidi statali.

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