
Dal pronto moda alla catastrofe
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Il pronto moda italiano si inserisce in un passato recente quando dall’alta moda delle case parigine si passa alla produzione industriale del prêt-à-porter, avvenuto tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70. E’ stata definita come democratizzazione della moda perché arriva potenzialmente a tutti, un fenomeno sempre più inclusivo, addirittura si dice che sia una sorta di “lingua madre”, uno strumento d’espressione universale.
La capitale della moda diventa Milano
Milano diventa la capitale della moda e il Paese, soprattutto la Lombardia, è disseminato da laboratori che producono o che assemblano o in qualche modo fanno parte della filiera. Negli anni 80 prende sempre più piede la pratica dei contratti di licenza di uso del marchio (allora si chiamava così), dall’abbigliamento ai profumi e agli accessori incomincia una nuova era della storia della moda Italiana sempre più internazionale.
La globalizzazione e l’inizio della crisi
Con l’arrivo della globalizzazione, negli anni 90, il settore della moda, in Italia, va in crisi e i più affermati sul mercato delocalizzano la produzione in Paesi decisamente più convenienti, facendo di fatto sprofondare tutte le aziende della filiera. Sul mercato internazionale si iniziò ad avvertire sempre più aggressiva la concorrenza dei Paesi a basso costo del lavoro, capace di spiazzare le aziende italiane produttrici di abbigliamento confezionato.
Arriva il nuovo millennio… Di male in peggio
Dal crollo delle Torri Gemelle alla recessione internazionale, il nuovo millennio si è presentato con gravi turbolenze per l’economia in generale e non ha risparmiato il sistema moda italiano passato al tritacarne, una severa selezione fa si che resistano solo le imprese più solide che non esitano a muoversi ovunque sia conveniente ma incredibilmente mantenendo stretto il Made in Italy. Muore l’artigianato, l’industria tessile e manifatturiera, la disoccupazione sale alle stelle, quell’Italia creativa ed effervescente non esiste più, è stata sepolta da brand esteri, catene di negozi presenti anche nelle località più insignificanti creando di fatto una moda/divisa usa e getta.
L’omologazione
Quindi dalla Valle d’Aosta alla Sicilia si trova abbigliamento, intimo, scarpe e accessori identici, per tutte le tasche si certo ma i benefici della loro produzione li ha la Cina ad esempio, che ha saputo presentarsi con fiumi di soldi agli imprenditori italiani che non hanno esitato a formare gli “emergenti”, vendergli macchinari, offrirgli il know how. La politica non ha fatto altro che favorire questo processo di autodistruzione della vera essenza della moda italiana e del suo indotto, riducendo gli italiani come similamericani pronti ad acquistare qualsiasi cosa che il sistema ritenesse IN, al di là di ogni sostanziale concetto di Bello, di ben fatto, di Italiano soprattutto.
Una nuova rinascita… Torna la vera AnimaMediterranea
Oggi davanti alla catastrofe totale economica dell’Italia rinascono quegli artigiani artisti che dell’ago e filo ne fanno il loro pennello, dipingendo abiti meravigliosi, guarniti come nei tempi migliori da preziosissimi ricami, ma anche accessori e scarpe. Giovani e non più giovanissimi non vogliono cedere alla moda del finto, alla divisa, e affrontando anche grandi sacrifici, sono disposti a tirar fuori dal cassetto quella creatività e quel senso del bello e dell’esclusivo tipico italiano che ha reso invidiabile il nostro Paese. Nasce così un’organizzazione (animamediterranea.eu) che ha come mission la ricerca di tutto ciò che è più autenticamente artigianale, tutto ciò che non potrà mai essere replicato altrove perché nasce e si manifesta solo nel nostro saper fare ad arte.
E.F
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