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“Dalla documentazione esaminata emerge che la macchina organizzativa del ministero della Salute ha mostrato carenze, ritardi e inefficienze”. Sono le conclusioni contenute negli atti della procura di Bergamo che ha ricostruito, in un’indagine durata circa 3 anni, le prime fasi della diffusione della pandemia. Tra gli indagati compare anche l’ex ministro della Salute Roberto Speranza.

“Solo dopo il 20 febbraio 2020 è iniziato un frenetico e caotico tentativo di organizzare il sistema di risposta. Prima di quella data, poco o nulla è stato fatto, ad ogni livello, anche in ragione della frammentazione delle responsabilità e della poca chiarezza della linea di comando”, si legge nelle quasi 2500 pagine di indagine. Del resto, il Ministero, prima del 21 febbraio 2020 non risulta aver adottato una efficiente politica preventiva, limitandosi a un blocco dei voli diretti dalla Cina (che non ha certamente inciso positivamente), all’installazione di termoscanner negli aeroporti di Milano e Roma, all’istituzione di una task force senza poteri decisionali (difatti non ha poi adottato alcun provvedimento) e poc’altro, come, peraltro, emerge dai resoconti ministeriali” si evidenzia.

Invece di adottare “provvedimenti preventivi che ne limitassero la diffusione, quali il piano pandemico e i protocolli per Sars Cov 1 e Mers-Cov, si è restati in attesa degli eventi connessi al diffondersi del virus con effetti sull’espansione della pandemia”.

“La scelta di non adottare sin da subito il piano pandemico e di iniziare a redigerne uno nuovo ha, verosimilmente, comportato – una volta sopraggiunta l’emergenza senza che questo ultimo documento fosse ultimato – una impreparazione e disorganizzazione dell’intero sistema nazionale e regionale. E, comunque, il Cts ha poi deciso di secretare il piano, su concorde parere del ministro Speranza”, si legge ancora.

La proposta di redigere un nuovo piano risulta avanzata da Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, e il 12 febbraio 2020, il Cts dà formale mandato ad un gruppo di lavoro interno “di produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di piano operativo” e il relativo verbale riporta tre scenari, basati sui dati cinesi. Dall’analisi degli atti e in particolare di una mail “tra il 24 ed il 25 febbraio 2020, l’ex presidente del Consiglio (Giuseppe Conte, ndr) avrebbe verosimilmente ricevuto il piano riservato”.

“Il peggior scenario ipotizzato dal piano era benevolo rispetto alla cruda e grave realtà, con l’ovvia conseguenza che sin da subito il Cts avrebbe dovuto proporre ed il governo adottare, provvedimenti restrittivi ben più incisivi, istituendo la zona rossa per l’intero territorio lombardo e sospendendo le attività produttive non essenziali”. Invece il piano Covid “sino a quel momento elaborato, viene completamente abbandonato” e dal 13 marzo 2020 l’Iss “si occuperà della redazione di un suo piano di risposta al Covid. Da questo momento in poi, quindi, non si parlerà più del piano riservato, né – si legge negli atti – verrà adottata alcuna deliberazione per l’approvazione del medesimo piano”.

“Nonostante il presidente dell’Iss sia a conoscenza delle conseguenze devastanti del Covid-19 in Cina e nonostante a fine gennaio vi fosse stata la conferma che il virus era ormai giunto in Italia è emerso che non sono state adottate iniziative dirette a preparare il Sistema sanitario nazionale a prepararsi e a rispondere all’emergenza”, emerge negli atti.

Inoltre, sul fronte dei tamponi, “dall’analisi delle copie forensi sono emersi elementi che, se confermati da successive indagini, evidenziano la commissione di una truffa ai danni dello Stato”. In un documento allegato agli atti si attesta che per i “primi 200 test da parte dell’Istituto superiore di sanità emerge che gli oneri per il predetto numero di test (200) è pari a 150.000 euro”, così come “si chiedono risorse utili per l’effettuazione di almeno 800 test, pari a 600.000 euro lordi”. Ciò significa “che il costo sostenuto e da sostenere per ogni test effettuato presso il laboratorio dell’Iss è pari a 750 euro”.

Sul punto sono state richieste informazioni all’azienda ospedale – Università di Padova, la quale ha comunicato che nel febbraio-marzo 2020 veniva prevalentemente usato un tipo di test, con un “costo industriale unitario pari, allora, a 2,82 euro”. La vicenda, di competenza della procura di Roma, “necessita ovviamente di ulteriori indagini”

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