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Bonus Irpef 2022, chi ha diritto all’emolumento di 100 euro mensili in busta paga? La riforma fiscale varata con l’ultima legge di Bilancio ha profondamente modificato il sistema delle aliquote e degli scaglioni Irpef, e ha anche inciso sulle detrazioni spettanti: il nuovo assegno unico universale ha assorbito le precedenti detrazioni per i figli a carico. L’anno 2022 segna il passaggio al nuovo regime, spiega laleggepertutti.it, ma il legislatore ha creato un meccanismo per sostenere i redditi dei contribuenti meno abbienti: è stato così previsto un bonus Irpef di 100 euro mensili inseriti in busta paga a titolo di trattamento integrativo per alcune categorie di lavoratori dipendenti, individuati in base alle fasce di reddito e al tipo di detrazioni spettanti.

È un’evoluzione del vecchio ‘Bonus Renzi’, che non è completamente scomparso, o almeno non per tutti: c’è infatti chi ne ha ancora diritto e in versione potenziata, cioè di 100 euro, ma il meccanismo di calcolo è più complesso rispetto a quello praticato fino al 2021. Vediamo, quindi, per questo nuovo bonus Irpef come funziona il trattamento integrativo: a chi spetta, com’è possibile ottenerlo e quando viene erogato.

Trattamento integrativo: cos’è?

Il trattamento integrativo – chiamato anche ‘nuovo bonus Irpef’ per distinguerlo dal precedente bonus Renzi – è un importo aggiuntivo erogato in busta paga; per l’anno 2022 ammonta a 100 euro mensili e viene riconosciuto per 12 mensilità (ma in proporzione al periodo lavorato nell’anno, se inferiore).

Fino al 2021, il trattamento integrativo nella misura piena era riservato ai redditi fino a 28mila euro annui, ma veniva riconosciuto, in proporzione progressivamente decrescente, ai dipendenti con redditi fino a 40mila euro; oltre questa soglia si azzerava. Da gennaio 2022, per effetto della nuova legge di Bilancio, sono cambiate le soglie di applicabilità ed inoltre sono variate anche le tipologie di detrazioni spettanti.

Trattamento integrativo: a chi spetta?

Il trattamento integrativo opera come correttivo introdotto a seguito della riforma Irpef, anche per ammortizzare gli effetti del cuneo fiscale, e spetta per intero ai dipendenti che hanno un reddito complessivo fino a un massimo di 28mila euro annui.

L’emolumento viene riconosciuto in base alla capienza fiscale di ogni contribuente:

automaticamente, per i lavoratori dipendenti e percettori di redditi assimilati (come i borsisti di studio e i co.co.co.) con reddito complessivo fino a 15mila euro;

in proporzione, rapportata all’incapienza dell’imposta lorda, per i lavoratori dipendenti e assimilati con redditi compresi fra i 15mila e i 28mila euro.

La verifica della ‘incapienza’ dell’imposta lorda rispetto alle detrazioni spettanti al contribuente è il punto critico della nuova disciplina, perché bisogna fare riferimento all’Irpef dovuta per l’anno d’imposta in corso, calcolata secondo le nuove aliquote e scaglioni, e diminuita delle detrazioni spettanti a ciascuno. Così il sostituto d’imposta che eroga il trattamento integrativo deve compiere le verifiche che ora ti esponiamo.

Trattamento integrativo: come si calcola?

Il calcolo del trattamento integrativo spettante in busta paga tiene conto, innanzitutto, dei nuovi scaglioni Irpef valevoli dal 2022, sulla base dei quali viene calcolato il debito d’imposta Irpef in base all’ammontare dei redditi. Su questa cifra di Irpef dovuta, e ancora teorica, si applicano le detrazioni, a partire da quella per lavoro dipendente fino a quelle eventuali e ulteriori alle quali il contribuente ha diritto: ad esempio, quelle per le spese mediche sostenute o per gli interessi sul mutuo.

L’ammontare del trattamento integrativo spettante ad ogni lavoratore dipendente è determinato in misura pari alla quota di detrazione non fruibile per incapienza; i calcoli vengono effettuati dal sostituto d’imposta, che innanzitutto deve verificare se il dipendente è compreso nella soglia reddituale di applicabilità del nuovo bonus Irpef, applicare le detrazioni spettanti e infine attribuire l’importo così risultante in busta paga.

Trattamento integrativo e casi di incapienza fiscale

In concreto, dopo queste operazioni di calcolo l’importo del trattamento integrativo da riconoscere in busta paga è pari – per i contribuenti che non ne beneficiano in misura piena, dunque per quelli con redditi compresi tra 15mila e 28mila euro – alla differenza tra la somma delle detrazioni d’imposta spettanti e l’imposta lorda dovuta. Tutto ciò fermo restando il limite massimo di 1.200 euro annui, che non è superabile.

Tuttavia, il sostituto d’imposta dispone solo dei dati di alcune detrazioni, e non di tutte: conosce sicuramente quelle per il lavoro dipendente e per i carichi di famiglia (ma quelle per i figli fino a 21 anni ora rientrano nell’assegno unico universale) e non le altre. Per ovviare a questo problema, una recente circolare dell’Agenzia delle Entrate [2] ha chiarito che il sostituto d’imposta deve riconoscere il trattamento integrativo sulla base delle detrazioni a lui note, mentre l’eventuale conguaglio a favore del dipendente potrà essere operato in sede di dichiarazione dei redditi, dunque nel momento in cui il contribuente esporrà le ulteriori detrazioni spettanti.

In tali casi, il contribuente incapiente potrà recuperare l’eventuale differenza spettante nel conguaglio Irpef 2022 erogato dal sostituto d’imposta in busta paga a partire dal luglio 2023, a seguito della presentazione del modello 730. Precisamente, le detrazioni che contribuiscono al calcolo dell’incapienza fiscale e dunque possono essere fatte valere ai fini del trattamento integrativo sono quelle per:

lavoro dipendente e assimilati;

carichi di famiglia;

interessi passivi su mutui contratti per l’acquisto dell’abitazione principale;

spese sanitarie (superiori a 15.493,71 euro fino al 31 dicembre 2021 e rateizzate);

spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica;

altre detrazioni relative a spese sostenute e rateizzate fino al 31 dicembre 2021.

(AdnKronos)

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