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L’Europa richiede una soluzione efficace per risolvere una disputa durata decenni riguardante le concessioni balneari in Italia. L’UE ha esortato il governo italiano a rivedere rapidamente la sua posizione, poiché la proroga dello status quo fino al 2024 è stata respinta dal Consiglio di Stato. Bruxelles ha annunciato la sua intenzione di inviare un parere motivato alla richiesta dell’Italia di adeguarsi alle regole imposte dalla direttiva Bolkestein entro due mesi. In caso di mancata adesione, l’UE potrebbe deferire la questione alla Corte di Giustizia, con conseguenze legali.

Le posizioni sono piuttosto chiare, e difficilmente conciliabili. La Commissione Ue ritiene che tutte le concessioni debbano andare a gara, rompendo un regime di sostanziale monopolio da parte di chi ha già in mano gli spazi sulle spiagge, che sono patrimonio del Demanio. Il governo, spinto dalle istanze della forze della maggioranza, Lega in testa, sostiene invece che vada difesa la posizione di tante piccole imprese familiari italiane. In mezzo, insieme al principio basilare della concorrenza, ci sono anche i rapporti complessivi tra Roma e Bruxelles.

Con la revisione dei target del Pnrr in ballo, con la discussione sulle nuove regole di bilancio tutta da fare, con la mancata ratifica della riforma del Mes, le concessioni balneari sono un terreno particolarmente accidentato in questa fase.

Anche perché l’incertezza che inevitabilmente accompagna il limbo in cui ci si trova, finisce per alimentare sul territorio situazioni di profondo disagio per tutti, amministrazioni locali, esercenti e utenti. Il caso dei sequestri a raffica sul litorale di San Felice Circeo, in provincia di Latina, per difformità tra le concessioni e lo stato reale degli stabilimenti, sono la spia di una situazione spesso oltre il confine della legalità che segnala il cortocircuito tra il lassismo di decenni e l’esigenza di ritrovare, rapidamente, un punto di contatto con la legge.

In questo quadro, le indiscrezioni che trapelano da Bruxelles trovano interpretazioni perfettamente contrapposte tra maggioranza e opposizione.

“Noi vogliamo garantire ai balneari che vogliono continuare a lavorare in uno stabilimento balneare che gestiscono da tanti anni il fatto che possano continuare a farlo”, ripete il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. “Se qualcuno è stanco e non se la sente più – ha aggiunto il leader della Lega – è giusto che chieda l’indennizzo per tutti gli investimenti fatti su quella spiaggia. Se uno se la sente e ha voglia di andare avanti, magari con i suoi figlioli o i suoi nipoti, deve poterlo fare. Perché non può valere solo il criterio economico che ti porta la prima multinazionale di turno ad appropriarsi delle spiagge. Io personalmente sto lavorando anche per una mappatura delle spiagge e delle coste italiane per garantire chi lavora da tanto tempo in spiaggia di continuare a farlo”.

Il segretario di Più Europa Riccardo Magi esprime una posizione diametralmente opposta. “L’Italia rischia di essere deferita alla Corte di Giustizia Ue per la proroga delle concessioni balneari, dopo 28 mesi di procedura d’infrazione. Ecco quanto costa la propaganda del governo e la difesa di una lobby a danno dell’efficienza dei servizi, del benessere dei cittadini, e delle tasche degli italiani, che saranno costretti a pagare le scelte anti concorrenza del governo, preoccupato a difendere gli interessi di pochi piuttosto che il bene di tutti”.

L’apertura della stagione è ormai vicinissima e il destino delle spiagge resta strettamente legato alle decisioni del governo e a quelle, conseguenti, della Commissione Ue. Uno scontro in campo aperto rischia di fare danni a tutti, incluso chi difende il diritto acquisito alla concessioni. (di Fabio Insenga)

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