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La pasta italiana continua a mietere successo sui mercati dentro e fuori i confini nazionali. Bene dunque le vendite ma rincari top nel carrello della spesa, con prezzi cresciuti di oltre un quarto, a causa soprattutto dell’aumento dei prezzi del grano duro e dei prezzi dell’energia che incidono sui costi di produzione. L’occasione per tirare un bilancio sull’andamento del settore, a livello di produzione e consumi, è stato il World Pasta Day festeggiato il 25 ottobre in tutto il mondo.

Nel 2022 si conferma la leadership dell’Italia, primo Paese produttore di pasta con 3,6 milioni di tonnellate, davanti a Turchia e Usa. Gli italiani sono anche i primi consumatori, con 23 kg procapite annui, davanti a Tunisia (17), Venezuela (15), Grecia (12,2). Se il 2021 ha registrato 2,2 milioni di tonnellate di pasta esportata, le elaborazioni di Unione Italiana Food su dati Istat rivelano nei primi sei mesi del 2022 un’ulteriore crescita del +9% in quantità e del 43% in volume.

A fare da contraltare alle ottime performance rilevate dalla pasta anche dalla Borsa Merci Telematica Italiana (Bmti), con un mercato del grano duro caratterizzato da prezzi che superano i 500 euro a tonnellata (+57% rispetto alla media degli ultimi 5 anni), sono i prezzi al consumo. Oggi un kg di spaghetti o di penne, segnala Assoutenti, costa in media il 24,6% in più rispetto allo scorso anno (dati Istat).

Altro rovescio della medaglia è il calo della produzione di grano duro in Italia di 1,5 milioni di quintali rispetto all’anno scorso a causa soprattutto del cambiamento climatico, del caro energia e del conseguente aumento dei costi dei concimi, come certificano i Consorzi Agrari d’Italia (Cai). In Italia, segnala Coldiretti, si producono la produzione di 3,6 milioni di tonnellate di pasta è pari ad 1/4 della produzione mondiale con 200mila aziende agricole italiane impegnate a fornire grano duro di altissima qualità a una filiera che conta 360 imprese e circa 7.500 addetti, per un valore complessivo di circa 5 miliardi di euro.

I prezzi conferiti dall’industria agli agricoltori compensano solo in parte i costi di produzione proibitivi e mettono a dura prova la filiera della pasta made in Italy. Secondo Cia-Agricoltori Italiani non è la terra a mancare alle aziende agricole che vogliono produrre grano duro, ma interventi seri su gasolio agricolo (schizzato a 1,45 euro/lt.) e fertilizzanti -spesso di provenienza russa- più che raddoppiati. L’Italia è anche primo importatore mondiale di grano duro indispensabile a soddisfare la domanda dell’industria pastaria, che ammonta a circa 6,5 milioni di tonnellate. Con costi di produzione così alti e nessuna garanzia sul prezzo di mercato futuro, Cia, segnala i forti i dubbi degli agricoltori italiani nella scelta della semina di grano duro, che si effettua abitualmente nel periodo che va da novembre a gennaio.

L’ottima qualità made in Italy viene premiata all’estero con 75 milioni di porzioni di pasta proposte ogni giorno nelle case e nei ristoranti di quasi 200 Paesi. “Oggi oltre il 60% dei pacchi di pasta prodotti in Italia viene esportata, contro il 48% nel 2000 e il 5% nel 1955 – afferma Riccardo Felicetti, presidente dei Pastai Italiani di Unione Italiana Food – se la pasta italiana gode all’estero di tanto successo e ha un percepito estremamente positivo è merito del saper fare centenario dei pastai italiani. E di chi, nei ristoranti italiani nel mondo, la valorizza in piatti che trasmettono il piacere e la gioia del mangiare mediterraneo”.

Nel corso del tempo sono aumentati esponenzialmente anche i formati della pasta che sono ormai arrivati a quota 300, mentre alle varietà tradizionali si sono aggiunte quelle fatte con l’integrale, il gluten free, quelle con farine alternative e legumi.

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(AdnKronos)

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