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“Una volta un militare che ho intervistato mi ha detto che ormai è tardi per avere paura. Ed è vero: anche se una paura puramente umana resta, documentare quello che sta accadendo al fronte è importante”. Così all’Adnkronos il giornalista di Radio Svoboda/Radio Liberty Marian Kushnir, dopo l’uccisione del giornalista francese Frédéric Leclerc-Imhoff a Severodonetsk e dopo essere rimasto lui stesso coinvolto, per la seconda volta dall’inizio della guerra in Ucraina, in un attacco russo.

All’alba di sabato 28 maggio, infatti, Kushnir si trovava vicino a Bakhmut, nella regione di Donetsk. “Verso le 4 del mattino, insieme ai militari ucraini, mi sono diretto a cercare delle posizioni favorevoli per la controffensiva. A un certo punto siamo stati attaccati ed è iniziato un vero e proprio combattimento, con attacchi di artiglieria. Io ero nella mia auto, parcheggiata un po’ distante, quando lì vicino è caduto un razzo calibro 152 mm. L’onda d’urto ha danneggiato sia i vetri che la carrozzeria della macchina”, racconta, specificando che “non si è trattato di un attacco mirato contro un giornalista”.

Già a marzo Marian Kushnir era rimasto ferito in un bombardamento nella regione di Kiev. “Ho riportato una contusione e delle ferite all’orecchio. Niente di grave, già il giorno dopo ho ripreso a lavorare”, dice all’Adnkronos in collegamento da un hotel di Kostiantynivka, a Donetsk, mentre “fuori si sentono le sirene antiaeree. Qui le città vengono costantemente attaccate da vari tipi di razzi, dagli elicotteri e anche dall’aviazione. La situazione è molto difficile in questo momento nella regione: i russi cercano di sfondare la città di Bakhmut, per accerchiare i nostri militari, che si trovano nell’oblast di Luhansk”, dice, spiegando che “la fase calda della guerra si sta intensificando, la situazione diventa sempre più critica, sempre più pericolosa. Come dimostra la morte del giornalista francese Frédéric Leclerc-Imhoff”.

Per questo molti giornalisti “come è logico, hanno paura e preferiscono andarsene”. Nella regione di Donetsk – riferisce il cronista di Radio Svobada – “sono rimasti pochissimi colleghi stranieri. Sono un quarto o forse addirittura un quinto rispetto a un mese fa“. Questione di sicurezza, ma anche conseguenza di un calo di interesse. “Quando è iniziata l’invasione nelle regioni di Kiev e Chernihiv, l’Ucraina ha attirato moltissima attenzione nel mondo, anche perché un attacco contro una capitale europea è ovviamente una notizia importante, ma bisogna capire – sottolinea Marian Kushnir – che questa è una guerra volta allo sfinimento, non soltanto del popolo ucraino e dei militari ucraini, ma anche degli stranieri e dei media stranieri”.

Per questo il cronista di Radio Svobada fa appello “ai giornalisti, perché continuino a parlarne e ad attirare l’attenzione sulla guerra in Ucraina”. Ed è questo il motivo per cui Kushnir non intende lasciare il Donbass: “Raccontare quello che succede al fronte è molto importante, non soltanto per gli ucraini, ma per il mondo intero, che deve vedere come combattono i nostri militari e come utilizzano le armi”. Tra le truppe schierate al fronte, “lo spirito – riferisce il giornalista – resta combattivo. I militari dicono che vogliono continuare a combattere per l’indipendenza, senza arretrare. Anche perché dietro alle loro spalle ci sono le loro case e le loro famiglie. I soldati tengono sempre a mente quello che è successo a Bucha, a Irpin e a Mariupol e non vogliono che una situazione del genere si ripeta nelle loro città”.

Più “difficile la situazione nella zona in cui si combatte 24 ore su 24, 7 giorni su 7, dove ogni minuto si sentono spari ed esplodono bombe, che uccidono i commilitoni. Lì l’umore dei militari è più basso, anche perché non sono robot, ma persone ed emotivamente non è sempre facile riuscire a sopportare situazioni del genere”, conclude Marian Kushnir.

(AdnKronos)

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