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Una “volontaria, e illecita, omissione delle cautele prescritte, dalla quale è scaturito, sul piano causale, disastro”. Così la Cassazione sulla tragedia della funivia del Mottarone, il 23 maggio 2021, che costò la vita a 14 persone nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso aprile ha annullato con rinvio a una nuova sezione del tribunale del Riesame di Torino il provvedimento che aveva disposto gli arresti domiciliari per Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, due degli indagati.

“E’ univocamente emerso – sottolinea la Suprema corte – che la cabina veniva regolarmente utilizzata, oltre che da turisti e viaggiatori, dai dipendenti della Ferrovie del Mottarone s.r.l. per i giri di prova, le verifiche di funzionalità, gli spostamenti dall’una all’altra postazione e delle ditte incaricate della manutenzione, onde è dato senz’altro apprezzarsi la sussistenza del carattere di diffusività del pericolo creato mediante la volontaria, e illecita, omissione delle cautele prescritte, dalla quale è scaturito, sul piano causale, disastro”.

I giudici evidenziano come l’accusa si regga “sul postulato secondo cui l’ingegnere Perocchio, trovandosi in posizione sovraordinata nella scala gerarchica aziendale e avendo il potere, quale direttore di esercizio, di fornire al personale dipendente indicazioni sugli adempimenti da espletare per garantire la sicurezza dei lavoratori, avrebbe istigato, per ragioni di convenienza economica (in attuazione, cioè, di una nitida strategia aziendale, nella cui cornice si iscrive anche l’omessa annotazione sui registri delle frequenti e reiterate défaillances nel funzionamento dell’impianto), Gabriele Tadini (dipendente della Ferrovie del Mottarone srl, ndr) a disattivare il sistema frenante d’emergenza e, precipuamente, a omettere la rimozione del ceppo nell’orario di apertura della funivia al pubblico”.

Per i giudici della Prima sezione penale della Cassazione, “è evidente, da un lato, che agli indagati si ascrive di avere dolosamente omesso la rimozione dei ‘forchettoni’, ’id est’ di avere compiuto un’attività – naturalisticamente omissiva – cui Tadini, Nerini e, per quello che qui più direttamente rileva, Perocchio, erano tenuti in dipendenza del ruolo svolto in ambito aziendale e della connessa assunzione di posizione di garanzia rispetto agli obblighi antinfortunistici, sicché va confermata, ai fini della provvisoria contestazione cautelare, la qualificazione del reato come proprio, in quanto commesso da soggetti titolari di speciali obblighi di protezione nei confronti del bene tutelato dalla norma incriminatrice”.

L’ordinanza del Riesame di Torino, inoltre, per la Cassazione “appare gravemente carente nella parte in cui assume che la misura degli arresti domiciliari, assistita dal divieto di contatti con persone diverse da quelle conviventi, sia adeguata e proporzionata alla tutela delle ravvisate esigenze cautelari e, specularmente, che ‘qualunque altra misura meno afflittiva non sia idonea in concreto alla tutela delle esigenze perché consentendo libertà di movimento e di contatto gli indagati potrebbero continuare ad occuparsi, ancorché mediatamente, dei loro affari con le stesse modalità reiterando illeciti della medesima natura’. La peculiare natura degli illeciti contestati, il ruolo svolto da Enrico Perocchio, strettamente correlato alla sua attività professionale, e le stesse argomentazioni spese dal Tribunale del riesame a riprova della sussistenza di esigenze di natura special preventiva – si legge nelle motivazioni depositate oggi – concorrono, al riguardo, nell’accreditare l’assunto secondo cui il pericolo di recidiva trova concretezza nell’esercizio dell’attività professionale, la cui inibizione potrebbe, in ipotesi, produrre un efficace effetto inibitorio”.

“Limitatamente a tale aspetto – concludono i supremi giudici – va disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale del riesame per un nuovo giudizio sul punto, emendato dal vizio riscontrato”.

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