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Il Decreto Lavoro 2023 è stato approvato ieri, 1 maggio, dal Consiglio dei ministri. Secondo una nota del governo, il testo interviene con misure volte a ridurre il cuneo fiscale per la parte contributiva, nei confronti dei lavoratori dipendenti con redditi fino a 35.000 euro lordi annui, a contrastare la povertà e l’esclusione sociale, con particolare attenzione per le famiglie al cui interno siano presenti soggetti fragili, minori o anziani, e a promuovere politiche attive del lavoro, con l’obiettivo di assicurare un’adeguata formazione a chi non ha un’occupazione ed è in grado di svolgere un’attività lavorativa e di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Il Decreto prevede interventi volti a sostenere i lavoratori, tra cui l’introduzione di una maggiore deducibilità dei costi sostenuti per la formazione professionale dei dipendenti, l’istituzione di un bonus per il sostegno alla genitorialità e la concessione di un bonus vacanze per i lavoratori dipendenti. Inoltre, sono previsti incentivi per le assunzioni di giovani e disoccupati di lunga durata, nonché per le aziende che decidono di investire in formazione e innovazione.

Il Decreto Lavoro 2023 introduce anche misure urgenti volte a rafforzare le regole di sicurezza sul lavoro e di tutela contro gli infortuni. A tal proposito, sono previste l’istituzione di un Osservatorio sulla salute e sicurezza sul lavoro, l’adozione di nuovi standard di sicurezza e la creazione di un fondo di sostegno per le vittime di incidenti sul lavoro e per i loro familiari.

Infine, il decreto modifica la disciplina del contratto di lavoro a termine, introducendo nuove regole per prevenire il ricorso abusivo a questo tipo di contratto e aumentare la protezione dei lavoratori. In particolare, si prevede l’istituzione di un registro nazionale dei lavoratori a termine, l’introduzione di una clausola di tutele per i lavoratori che svolgono mansioni permanenti e l’aumento della durata massima dei contratti a termine.

CUNEO FISCALE – Il decreto “interviene con misure volte a ridurre il cuneo fiscale, per la parte contributiva, nei confronti dei lavoratori dipendenti con redditi fino a 35.000 euro lordi annui; a contrastare la povertà e l’esclusione sociale, con particolare attenzione per le famiglie al cui interno siano presenti soggetti fragili, minori o anziani; a promuovere politiche attive del lavoro, con l’obiettivo di assicurare un’adeguata formazione a chi non ha un’occupazione ed è in grado di svolgere un’attività lavorativa e di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”, come si legge nella nota diffusa da Palazzo Chigi.

IL ‘NUOVO’ REDDITO DI CITTADINANZA E L’ASSEGNO DI INCLUSIONE – Almeno 480 euro al mese a titolo di sussidio contro la povertà, se si hanno minori, disabili o anziani a carico. E’ quanto prevede il ‘nuovo’ reddito di cittadinanza approvato dal governo. “Dal 1° gennaio 2024 – si legge nella nota diffusa da Palazzo Chigi dopo il Cdm – si introduce una misura nazionale di contrasto alla povertà, che consiste in una integrazione al reddito in favore dei nuclei familiari che comprendano una persona con disabilità, un minorenne o un ultra-sessantenne e che siano in possesso di determinati requisiti, relativi alla cittadinanza o all’autorizzazione al soggiorno del richiedente, alla durata della residenza in Italia e alle condizioni economiche. Il beneficio mensile, di importo non inferiore a 480 euro all’anno esenti dall’IRPEF, sarà erogato dall’INPS attraverso uno strumento di pagamento elettronico, per un periodo massimo di 18 mesi continuativi, con la possibilità di un rinnovo per ulteriori 12 mesi. Il nucleo beneficiario sarà tenuto a sottoscrivere un patto di attivazione digitale e a presentarsi, con cadenza trimestrale, presso i patronati o i servizi sociali e i centri per l’impiego, al fine di aggiornare la propria posizione”. Chi lo perde se rifiuta un’offerta di lavoro.

Assegno di inclusione, quindi, in arrivo nel 2024. Lo prevede la bozza del decreto lavoro 2023, che delinea il quadro – con requisiti e cifre – relativo allo strumento destinato a sostituire il reddito di cittadinanza. Nella bozza del decreto, l’assegno avrà un plafond di 5,5 miliardi che arriveranno, a regime, a 6,4 miliardi nel 2033. ”Ai fini dell’erogazione del beneficio economico dell’assegno di inclusione è autorizzata la complessiva spesa di 5.472,7 milioni di euro per l’anno 2024, 5.695,0 milioni di euro per l’anno 2025, 5.623,6 milioni di euro per l’anno 2026, 5.733,6 milioni di euro per l’anno 2027, 5.844,7 milioni di euro per l’anno 2028, 5.958,0 milioni di euro per l’anno 2029, 6.073,6 milioni di euro per l’anno 2030, 6.191,4 milioni di euro per l’anno 2031, 6.311,6 milioni di euro per l’anno 2032, 6.434,1 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2033”.

A chi spetterà l’assegno? Quali sono i requisiti per presentare domanda? Il richiedente deve essere cittadino Ue, o suo familiare titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, ovvero titolare dello status di protezione internazionale. Inoltre al momento della presentazione della domanda, deve essere residente in Italia per almeno cinque anni, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo.

Sul fronte ‘economico’ è richiesto un valore dell’Isee, in corso di validità, inferiore a 9.360 euro, valore che è rimodulato nel caso di nuclei familiari con minorenni. Inoltre il valore del reddito familiare deve essere inferiore a una soglia di 6.000 euro annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza (presenza di figli minori, componenti con disabilità o non autosufficienti, etc.) Nel reddito familiare sono peraltro incluse le pensioni dirette e indirette, in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare. Nel calcolo del reddito familiare, invece, non si computa quanto percepito a titolo di Assegno di inclusione, di Reddito di Cittadinanza o di altre misure nazionali o regionali di contrasto alla povertà.

Il richiedente non deve avere un valore del patrimonio immobiliare superiore a 30mila euro, come definito ai fini Isee, se diverso dalla casa di abitazione di valore ai fini Imu non superiore a 150.000 euro. Invece il patrimonio mobiliare non deve superiore a una soglia di 6.000 euro, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino a un massimo di 10.000 euro, incrementato di ulteriori 1.000 euro per ogni minorenne successivo al secondo. Ma questi massimali sono ulteriormente incrementati per ogni componente in condizione di disabilità o di non autosufficienza.

Quanto ai beni di cui il nucleo dispone nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avere piena disponibilità di autoveicoli di cilindrata superiore a 1600 cc. o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc., immatricolati la prima volta nei trentasei mesi antecedenti la richiesta, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità. Inoltre nessun componente deve essere intestatario di navi e imbarcazioni da diporto o di aeromobili di ogni genere.

SICUREZZA – “Si introducono poi interventi urgenti volti a rafforzare le regole di sicurezza sul lavoro e di tutela contro gli infortuni e si modifica la disciplina del contratto di lavoro a termine”. Il provvedimento, introduce inoltre misure a sostegno dei lavoratori e per la riduzione della pressione fiscale. “Si innalza, dal 2 al 6 per cento, l’esonero parziale sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico dei lavoratori dipendenti per i periodi di paga dal 1° luglio al 31 dicembre 2023 (con esclusione della tredicesima mensilità). L’esenzione è innalzata al 7 per cento se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 1.923 euro”.

FRINGE BENEFIT – “Si conferma l’incremento della soglia dei fringe benefit a 3.000 euro per il 2023, esclusivamente per i lavoratori dipendenti con figli a carico. Si prevede una estensione ai genitori vedovi della maggiorazione dell’assegno unico prevista per i nuclei familiari in cui entrambi i genitori siano occupati”.

CONTRATTI A TERMINE – Con il decreto approvato l’1 maggio “si apportano modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a termine (cosiddetto “tempo determinato”), variando le causali che possono essere indicate nei contratti di durata compresa tra i 12 e i 24 mesi (comprese le proroghe e i rinnovi), per consentire un uso più flessibile di tale tipologia contrattuale, mantenendo comunque fermo il rispetto della direttiva europea sulla prevenzione degli abusi”, precisa Palazzo Chigi, nella nota diffusa dopo il Cdm.

“Pertanto, i contratti potranno avere durata superiore ai 12 mesi, ma non eccedente i 24 mesi: nei casi previsti dai contratti collettivi; per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti, in caso di mancato esercizio da parte della contrattazione collettiva, e in ogni caso entro il termine del 31 dicembre 2024; per sostituire altri lavoratori”.

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