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Mantenimento dei figli minorenni e maggiorenni, un dovere e un obbligo dalla nascita e fino all’indipendenza e all’autosufficienza economica. Ma quando cambiano le cose? A rispondere sono gli esperti del sito di informazione legale Laleggepertutti.it, che spiegano come “la misura della contribuzione dovuta nei loro confronti può variare, anche molto, nel corso del tempo”.

“Le variabili che incidono sul mantenimento dei figli da parte dei genitori – sottolineano gli esperti, sono sostanzialmente due: le esigenze dei figli, che evidentemente mutano in base alla loro crescita, e i redditi dei genitori, che possono non essere stabili e variare, in meglio o in peggio. Questi criteri, però, vanno contemperati fra loro, al fine di determinare la somma dovuta, tenendo presente che la revisione dell’importo non può essere arbitraria, ma deve essere stabilita dal giudice in tutti i casi di mancanza di accordo tra i genitori”. Ecco, quindi, tutte le informazioni necessarie:

Chi deve provvedere? “L’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli – si legge ancora – ricade su entrambi i genitori. L’art. 30 della Costituzione stabilisce che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio»: perciò non sussiste nessuna differenza tra figli legittimi e figli naturali, o tra genitori sposati e conviventi o non uniti in un legame. L’art. 315 bis del Codice civile specifica i diritti e i doveri dei figli verso i genitori e dispone che: ogni figlio «ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni»; il figlio deve anche «contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa»”.

Come si determina l’assegno? “Nelle coppie di genitori separate o divorziate – spiegano gli esperti -, l’ammontare dell’assegno di mantenimento per i figli può essere determinato in base all’accordo raggiunto tra i genitori, oppure, in caso di disaccordo, viene quantificato dal giudice, che decide operando un raffronto tra le loro rispettive capacità economiche. In ogni caso, il giudice «adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa». L’art. 337 ter del Codice civile fissa i parametri essenziali, disponendo che «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: le attuali esigenze del figlio; il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; i tempi di permanenza presso ciascun genitore. le risorse economiche di entrambi i genitori. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore». Non esiste, pertanto – aggiungono gli esperti de Laleggepertutti.it -, una misura di contribuzione fissa e predeterminata, ma la percentuale di contribuzione di ciascun genitore varia in base a diversi fattori. Innanzitutto si tiene conto della differenza tra il “genitore collocatario” – quello con cui i figli continuano a vivere abitualmente – e l’altro genitore, in favore del quale viene disposto il diritto di visita e di incontro nei periodi stabiliti. Di regola è il genitore non collocatario che viene chiamato a versare l’assegno periodico di mantenimento dei figli, tenendo però conto che spesso l’altro genitore diventa assegnatario della casa coniugale, anche se non è di sua proprietà, e questo può incidere sulla quantificazione concreta della cifra”. Bisogna, poi, prevedere l’eventualità di coprire le spese straordinarie, cioè quelle non definibili a priori, e stabilire la percentuale di riparto tra i due genitori”.

Capacità economiche dei genitori, quanto contano? “Le capacità economiche dei genitori – sottolineano ancora gli esperti – incidono moltissimo sull’entità del mantenimento dei figli. Ad esempio, se entrambi lavorano ed hanno un reddito simile, di solito l’onere del mantenimento viene fissato a carico di ciascuno nella misura del 50% delle spese ordinarie e prevedibili; se invece il genitore collocatario non lavora ed è privo di redditi propri, l’altro genitore dovrà farsi carico della totalità delle spese. Una nuova ordinanza della Corte di Cassazione ha precisato che l’obbligo di entrambi i genitori di contribuire alle spese di mantenimento dei figli sussiste «in proporzione alle proprie disponibilità economiche»; perciò il giudice, nel determinare l’importo dell’assegno per il minore, «deve considerare le «attuali esigenze del figlio», le quali non potranno peraltro non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore: ne consegue che nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori»”, si legge.

Come funziona la revisione dell’assegno? “La pronuncia della Suprema Corte – che si muove nel solco di una giurisprudenza divenuta ormai costante sul punto – apre la possibilità di una revisione dell’assegno di mantenimento dei figli in tutti i casi in cui si registrano fattori sopravvenuti rispetto a quelli considerati nella determinazione originaria della cifra. Nella vicenda decisa dai giudici di piazza Cavour, l’importo è stato elevato a 600 euro mensili a fronte dei 400 riconosciuti in precedenza. A parte l’adeguamento periodico dell’importo dell’assegno di mantenimento in base agli indici Istat per tenere conto dell’inflazione, la variazione della cifra può essere chiesta al giudice evidenziando i fatti sopravvenuti che hanno comportato: una modifica – migliorativa o peggiorativa – dei redditi e delle condizioni economiche generali di uno dei genitori, o di entrambi; il cambiamento delle esigenze dei figli, che, come abbiamo visto, ai fini del mantenimento devono essere sempre rapportate a quelle «attuali». Ad esempio – spiegano ancora gli esperti -, un figlio divenuto adolescente ha bisogni diversi da quelli di un bambino piccolo, e ciò può richiedere un aumento delle spese di mantenimento dovute in suo favore; viceversa, il contributo economico potrà essere revocato nel caso di figlio adulto che non lavora e non studia. Talvolta è il genitore obbligato al pagamento dell’assegno che subisce un peggioramento delle sue condizioni economiche – come nel caso di licenziamento – e ciò potrà comportare una riduzione dell’importo, fermo restando che le necessità basilari del figlio dovranno comunque essere soddisfatte. Allo stesso modo, se è il genitore con cui i figli convivono che perde il lavoro, l’entità del contributo posto a carico dell’altro genitore dovrà aumentare”, concludono.

(AdnKronos)

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