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“Whatever it takes” è probabilmente l’espressione più inflazionata dell’anno che ci lasciamo alle spalle. Di certo lo è quando si parla di Mario Draghi: presidente del Consiglio da febbraio, difficile trovare un consesso internazionale in cui un capo di Stato o di governo non abbia richiamato la celebre frase con cui, nel luglio 2012, l’allora numero 1 della Bce si dichiarò disposto a tutto pur di salvare l’euro. La stessa motivazione che lo ha mosso il 3 febbraio scorso, quando accettò l’incarico, con riserva, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dando vita nell’arco di 10 giorni a un governo di unità nazionale che vede coinvolto quasi l’intero arco parlamentare, fatta eccezione per Fdi di Giorgia Meloni.

Il ‘Whatever it takes’ del 2021 è declinato non alla situazione monetaria dell’Europa ma al Paese alle prese con la pandemia e un’economia costretta a fare i conti con una battuta d’arresto senza precedenti. C’è il testimone della campagna vaccinale da raccogliere, e quello -non meno importante- del Next Generation Eu, con ingenti risorse per l’Italia ma con l’imperativo di ‘fare i compiti a casa’, altrimenti le tranche degli stanziamenti da Bruxelles non raggiungeranno mai Roma. E il treno sarebbe perso. Mattarella individua in Mario Draghi -per gli americani ‘the unitalian’ proprio per quel sembrare, quanto meno ai loro occhi, così poco italiano- l’uomo giusto.

Il 25 febbraio Draghi partecipa al suo primo Consiglio europeo, rigorosamente in videoconferenza per via di una pandemia che non arresta la sua corsa, e segna subito un cambio di passo, spronando i leader europei ad accelerare sulle somministrazioni sui vaccini ma, soprattutto, adottando una linea dura con le aziende che non rispettano le consegne e valutando anche la possibilità di acquistare le fiale fuori dal Vecchio Continente. Intanto, in Italia, il governo Draghi vara il suo primo Dpcm in continuità con quelli del precedente esecutivo: le condizioni per allentare la stretta non ci sono. L’attesa riapertura degli impianti sciistici viene rinviata, le scuole dell’infanzia -prima escluse dalle chiusure- tornano a serrare i cancelli nelle zone rosse. Il premier non partecipa alla conferenza stampa, la prima del suo esecutivo: lascia che a parlare delle misure siano, per il governo, i ministri Roberto Speranza e Maria Stella Gelmini.

VIA SQUADRA VOLUTA DA CONTE PER CONTRASTARE PANDEMIA, IL RUOLO DI FIGLIUOLO

Febbraio e l’avvio del governo vengono segnati da un dramma che colpisce il nostro Paese: l’attentato a Goma, in Congo, nel quale perdono la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e l’autista del convoglio Mustapha Milambo. Il mese si chiude con la nomina di Fabrizio Curcio a Capo del Dipartimento della Protezione Civile: Curcio prende il posto di Angelo Borrelli, il cui mandato è in scadenza a marzo. Ed è solo la prima tessera di un domino pronto a venire giù, di fatto smantellando l’intera squadra messa in piedi dall’ex premier Giuseppe Conte per fronteggiare l’emergenza Covid.

Il primo marzo il presidente del Consiglio sostituisce Domenico Arcuri e nomina il generale Francesco Paolo Figliuolo commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure sanitarie di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19. A lui, un militare del Corpo degli Alpini, viene affidata l’intera macchina delle vaccinazioni, con un diktat sul quale Draghi non ammette tentennamenti o inciampi: la campagna deve correre, mettere le ali. Il 17 marzo, con ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile, viene riformata la composizione del Comitato Tecnico-Scientifico contro il Covid che passa da 26 a 12 componenti, di questi solo 5 vengono confermati del precedente Cts.

Marzo è il mese in cui scoppia il caso Astrazeneca, con una serie di ‘stop and go’ per l’unico vaccino prodotto dall’Europa. Anche in Italia, come nel resto del Vecchio Continente, la somministrazione viene sospesa per una manciata di giorni, per poi riprendere dopo l’atteso pronunciamento dell’Ema che lo dichiara ‘sicuro ed efficace’. Lo stesso Draghi, per tranquillizzare la popolazione, decide di vaccinarsi col siero dell’azienda anglo-svedese.

APRILE E LE TENSIONI SULLE RIAPERTURE

I primi di marzo Draghi vola a Tripoli e registra il primo vero scivolone da quando è alla guida di Palazzo Chigi. Nel corso della conferenza stampa con il primo ministro libico Abdul Hamid Dabaiba, il presidente del Consiglio dichiara che l’Italia si ritiene soddisfatta per l’impegno dei libici sul salvataggio dei migranti a largo delle coste, sorvolando sulla pressoché sistematica violazione dei diritti umani. Insorge la sinistra radicale, anche parte del Pd storce il naso.

A metà marzo Draghi presenzia a Bergamo il taglio del nastro del ‘Bosco della Memoria’, in ricordo delle vittime del Covid, negli stessi giorni il governo vara il suo primo decreto ristori, che viene ribattezzato ‘dl sostegni’, anche se, nella sostanza, il provvedimento ricalca le modalità dei precedenti decreti del Conte II per affiancare imprese e famiglie messe in ginocchio dalla pandemia. A fine mese viene introdotto l’obbligo di vaccinazione di medici, infermieri, operatori sanitari e farmacisti, e viene esclusa la responsabilità penale del personale incaricato della somministrazione del vaccino anti Covid.

Aprile è soprattutto il mese delle riaperture, con tutte le tensioni del caso. Il decreto che segna un primo passo verso il graduale ritorno a una pseudo-normalità, nonché l’esordio del green pass per spostarsi da regioni ‘arancione’ o ‘rosse’, viene approvato con l’astensione dei tre ministri della Lega, contrari al mantenimento del coprifuoco alle 22. Draghi tira dritto, fermo nel suo modus operandi che viene descritto bene dal capodelegazione del M5S al governo Stefano Patuanelli: “quando crede che una cosa sia giusta, nulla e nessuno possono fargli cambiare idea”. Ma aprile è anche il mese dell’approvazione del Pnrr. Il disco verde arriva in un lungo sabato in cui un Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto tenersi in mattinata finisce per riunirsi a tarda sera. Durante tutto l’arco della giornata Draghi tratta con Bruxelles, si fa garante del Paese, mette a tacere le preoccupazioni dei vertici europei sulle riforme da realizzare. Nella riunione del Cdm, insolitamente serale, Draghi annuncia il “green light” dell’Ue, strappando il lungo applauso dei presenti.

L’INCIDENTE DIPLOMATICO CON ERDOGAN ‘IL DITTATORE’

Ed è in una conferenza stampa dove il premier fa il punto sul Pnrr, nonché anche sul procedere della campagna vaccinale, che Draghi innesca un incidente diplomatico con la Turchia. Rispondendo a una domanda sul cosiddetto ‘sofa-gate’ -vicenda che ha visto la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen lasciata senza sedia ad Ankara- il presidente del Consiglio taccia Erdogan di essere un “dittatore”. La Turchia risponde per le rime, dando a Draghi del “maleducato”. Il riavvicinamento, lento e graduale, avviene dopo una serie di contatti, fino a una telefonata che mette a tacere le intemperanze tra i due.

Intanto la campagna vaccinale va avanti spedita e il Cdm, nel mese di maggio, vara nuove riaperture, spostando il coprifuoco alle 23 -anche questa una decisione condita da mille polemiche- e stabilendo una ‘roadmap’ che consentirà gradualmente di dimenticare del tutto le lancette dell’orologio a partire dal 21 giugno, quando il coprifuoco finirà definitivamente nel dimenticatoio. Vengono inoltre rivisti i parametri in base ai quali le regioni vengono collocate nei quattro scenari di rischio.

A giugno Draghi vola in Cornovaglia per il G7, sul fronte europeo appare sempre più solido l’asse con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron, mentre l’intesa col presidente americano, Joe Biden -suggellata da un bilaterale sulle coste di Carbis Bay- appare piena.

PUGNO DURO SUL GREEN PASS

A luglio si consuma il braccio di ferro col M5S sulla riforma della giustizia penale, che il Cdm faticosamente approva. E’ il mese dei successi dell’Italia nello sport, nonché dell’esordio del green pass in Europa. E della prima stretta del governo sul passaporto vaccinale. Il 22 luglio, il Cdm approva un decreto che istituisce, per tutti gli over-12, l’obbligo di mostrare la certificazione verde per accedere a ristoranti al chiuso, cinema, teatri, musei, piscine, palestre, eventi sportivi, concerti e concorsi, sulla falsariga di quanto già avvenuto in altri Paesi europei, in primis la Francia. Lo stato di emergenza, in scadenza al 31 luglio, viene prorogato al 31 dicembre. In tutta Italia spuntano come funghi proteste contro la stretta sul green pass.

Ma Draghi non si lascia intimorire. Il 5 agosto il suo governo dispone, a partire da settembre, l’obbligo di certificazione verde per docenti, studenti universitari e per i trasporti su lunga percorrenza. Sul fronte internazionale, per volontà del premier si tiene in videoconferenza un vertice straordinario del G7 per discutere le conseguenze del ritiro dall’Afghanistan, con l’offensiva talebana che ha portato alla caduta di Kabul e alla conclusione, drammatica per modalità e tempi, di una guerra ventennale.

A settembre, con piglio deciso, Draghi continua l’impostazione dura sul green pass, soprattutto per piegare le ultime sacche di resistenza, quelle dei no vax, ma anche degli indecisi intimoriti dal vaccino. Viene varato un decreto che, a partire dal 15 ottobre, estende l’uso della certificazione verde per accedere ad ogni luogo di lavoro, sia nell’ambito della pubblica amministrazione sia nel settore privato. Sempre da metà ottobre, è previsto -con un Dpcm firmato dal premier- il rientro in presenza dei lavoratori della P.A..

IL G20 DI ROMA E IL SUCCESSO LOGISTICO – LA DELUSIONE DEGLI AMBIENTALISTI

Ad ottobre si consuma un nuovo braccio di ferra con la Lega, con i tre ministri del Carroccio che non partecipano al voto in Cdm. Nel mirino la riforma del catasto. Il governo fibrilla anche per i risultati della tornata delle amministrative, che non hanno certo premiato la Lega di governo, ma Matteo Salvini rassicura: “non è una crisi, nessuno strappo”.

Intanto monta la rabbia sulle misure sul green pass, che entreranno in vigore sui posti di lavoro dalla metà del mese. Ben 10mila persone scendono in piazza a Roma contro l’obbligo di certificazione verde. Si registrano scontri e, contemporaneamente alla manifestazione pacifica, alcuni esponenti di Forza Nuova prendono d’assalto la sede nazionale della Cgil in corso Italia. Nella notte vengono fermate dodici persone ritenute responsabili degli scontri, l’indomani il presidente del Consiglio si reca nella sede del sindacato a prova della sua vicinanza. Ma la protesta non si ferma. I lavoratori del porto di Trieste annunciano lo sciopero a oltranza finché non verrà revocato l’obbligo di certificazione verde sul posto di lavoro. Il governo continua a tirare dritto.

A fine ottobre il G20 di Roma. Un indiscusso successo dal punto di vista logistico e organizzativo: tutto funziona alla perfezione. Ma i risultati del summit, soprattutto sul fronte della lotta al cambiamento climatico, lasciano delusi gli ambientalisti, facendo rimbalzare quel “bla, bla, bla” coniato dalla giovane Greta Thunberg, assurta ormai da anni a testimonial green dalle giovani generazioni. Non la pensa così Draghi. “Molti dicono che sono stanchi del bla bla bla – si dice convinto in conferenza stampa -, io credo che questo summit sia stato pieno di sostanza”.

IL FUTURO INCERTO TRA LA PERMANENZA A PALAZZO CHIGI E LA SALITA AL COLLE

Intanto arrivano i contraccolpi delle manifestazioni no pass. A Trieste, dove i portuali portano avanti la loro protesta, si registra un focolaio che induce il ministero dell’Interno a varare una stretta su manifestazioni e cortei: saranno concessi solo sit-in e fuori dai centri storici. Non solo. Il governo resta impermeabile alle proteste e, per arginare la quarta ondata che avanza in tutto il mondo, vara il super Green pass. Dal sei dicembre scatta la stretta per i non vaccinati, a loro saranno banditi spettacoli, eventi sportivi, ristoranti al chiuso, cerimonie pubbliche, feste e discoteche: non basterà più un tampone per esservi ammessi. Il 14 dicembre il governo ha prorogato lo stato di emergenza, ‘congelandolo’ per tre mesi, fino a fine marzo.

Intanto i partiti si interrogano sulla prossima tappa di ‘super Mario’, se resterà alla guida di Palazzo Chigi o salirà al Colle più alto, per prendere il posto di Mattarella. Il presidente del Consiglio al riguardo tace, si mostra persono indispettito quando in conferenza stampa qualche giornalista, sfidando il suo sopracciglio -che tende a sollevarsi quando qualcosa gli è sgradito-, gli pone domande sul Quirinale. Fino al tradizionale appuntamento della conferenza di fine anno, quando lascia aperto uno spiraglio, definendosi un “nonno al servizio delle istituzioni”, e sostenendo che il governo andrà avanti a prescindere, chiunque sarà alla sua guida. Non la pensano allo stesso modo le forze di maggioranza, che entrano in fibrillazione nell’immediato.

Di recente, in un incontro informale con i ragazzi di ‘Save the children’ nella periferia romana, spronando i giovani a puntare in alto e a far le cose per bene, ha ammesso che lui stesso, come tutti, “sta cercando la sua strada”. Difficile capire se quella strada si fermi a P.Chigi o porti dritti alla Presidenza della Repubblica. Qualsiasi essa sia, l’unica certezza al momento è che il “whatever it takes” per il bene dell’Italia resta e resterà la rotta che Draghi non abbandonerà mai.

(di Ileana Sciarra – AdnKronos)

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