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Si è appena concluso il 33° Congresso Nazionale dell’Associazione culturale Pediatri (ACP), che ha parlato di innovazione e futuro, territorialità e lotta al covid, inclusione e nuove figure professionali di riferimento, collegate anche alla necessità di una formazione diversa, più ampia e più specifica. Coinvolti tra gli altri Francesco Gabbrielli, direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

“Dobbiamo crescere e modificare i modelli di erogazione dei servizi – ha detto -, e imparare un nuovo modo di gestire i dati del paziente, non solo sanitari. Stiamo mettendo a punto un nuovo modo di fare medicina, di cui intuiamo i contorni senza capirli ancora del tutto. Una medicina basata sui dati, che non elimina affatto il rapporto umano, ma modifica il rapporto di lavoro tra i vari professionisti sanitari e la parte “tecnica” nei confronti del paziente. I dati arriveranno da sorgenti molteplici, e gestirli sarà il nostro tema specifico. Siamo all’alba di nuova era che, grazie all’internet delle cose, collegherà le macchine, le app e i vari dispositivi, nella speranza che presto la banda larga e ultra larga – enorme lacuna del nostro Paese – arrivi anche nelle zone montuose e remote: come sono state fatte le strade, adesso dovremmo garantire pieno accesso a internet laddove più è necessario: le zone isolate dove raggiungere un ospedale o un centro medico è più difficile”. Cosa bolle in pentola? Quando la telemedicina sarà una realtà, in particolare la tele-riabilitazione sarà una grossa rivoluzione. “Abbiamo imparato dagli errori del passato, e inserito tra i cambiamenti ai quali stiamo lavorando una clausola fondamentale: l’esigenza della revisione periodica, consapevoli della velocità con cui i sistemi informatici si evolvono ed evolvono le relazioni e le metodologie tra loro”.

Se il ricorso alla telemedicina è triplicato (dati dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano), “tuttavia il sistema sta muovendo ora i primi passi. Negli ultimi 15 anni non c’è mai stata una organizzazione su base nazionale del sistema di telemedicina. Semmai, ci sono state tante esperienze, alcune di valore e accelerati dall’emergenza Covid. Ma adesso serve molto di più”.

 

Telemedicina nella neuropsichiatria:  bambini a rischio presi in carico in tempi record

Massimo Molteni, neuropsichiatra infantile e responsabile dell’area di psicopatologia dello sviluppo presso l’Irccs Eugenio Medea di Lecco, ha parlato delle esperienze di telemedicina nella neuropsichiatria infantile, e mostrato gli enormi vantaggi di cui già godono i bambini in quel territorio. “Mettere in comunicazione tutti gli esperti che devono partecipare al percorso per far evolvere i bambini con disturbi del neuro-sviluppo è il nostro obiettivo. Il nostro lavoro ha costruito un percorso di sorveglianza del neurosviluppo nei primi 3 anni di vita e mette l’Italia all’avanguardia per la pediatria territoriale e di famiglia. Accompagniamo le famiglie, con controlli regolari, a valutare gli indicatori e diamo consigli per promuovere al meglio l’evoluzione del bambino. I disturbi del neuro-sviluppo appaiono nel tempo e l’identificazione precoce dei sintomi può fare la differenza. Ma gli indicatori di rischio sono molteplici e servono strumenti di valutazione per applicarli rapidamente nel proprio ambito. Il nostro “metodo” prevede prima di tutto un sistema denominato CHAT (Checklist for Autism in Toddlers) come strumento di screening: il pediatra farà 9 domande precise al genitore, riguardo le attitudini psicologiche del bambino. Un algoritmo aggiusta il risultato dello screening in tempo reale e invia il risultato al servizio di neuropsichiatria. Così si trasmette in automatico notizia di un bambino ad alto rischio. Si possono allegare video nella massima sicurezza. Con lo stesso strumento, il servizio di neuropsichiatria risponde al pediatra con le osservazioni che ritiene opportune e la cronologia degli step da compiere. In 15 giorni il bambino inizia gli approfondimenti necessari ed è preso in carico a tutti gli effetti. Spinti da covid, abbiamo costruito Fad (corsi di formazione a distanza) per illustrare nel dettaglio questi passaggi. In un totale di 963 CHAT eseguite finora, 916 non avevano presenza di rischi, 14 bambini sono stati inviati ai servizi di neuropsichiatria collegati al pediatra, per 9 c’è stata conferma di autismo e per 5 di altri disturbi. Il nostro obiettivo è avere, entro il 2022, tutti i pediatri loggati ai servizi di neuropsichiatria”.

 

Country Hospital Pediatrico: come avvicinare a casa l’ospedale

Come dettagliatamente descritto nella rivista scientifica Quaderni Acp, la sfida che ha raccolto e attualizzo la pediatria nel territorio Verbano-Cusio-Ossola, Regione Piemonte, cerca soluzioni anche creative per l’area materno-infantile, sfruttando le possibilità che la tecnologia mette a disposizione. “La carenza di medici pediatri in Italia è stata prevista più di 20 anni fa e si sta drammaticamente concretizzando. L’esempio di collaborazione tra ospedale e territorio del Country Hospital Pediatrico, che monitora l’allattamento al seno, porta avanti i bilanci di salute, permette gravidanze e parti seguiti in autonomia dalle ostetriche, di pari passo con la rapida diffusione della vaccinazione antipertosse in gravidanza, è un esempio che fa scuola integrando i PLS, i pediatri ospedalieri, l’ufficio vaccinale, le ostetriche e altro ancora”, spiega Andrea Guala, primario di pediatria all’Ospedale Castelli di Verbania. “Altri esempi di buona integrazione tra ospedale e territorio sono: il gruppo che si occupa in modo interdisciplinare sull’abuso-maltrattamento e che coinvolge i NPI, i servizi sociali, le forze dell’ordine e la medicina legale; le azioni di prevenzione odontoiatrica, che hanno permesso di avere un quadro di salute orale nella nostra popolazione stratificata per fasce di età, le biblioteche del VCO con il progetto Nati per Leggere e Nati per la Musica. Ci stiamo occupando di consumo di antibiotici e appropriatezza prescrittiva, di adenotonsillectomie e apnee ostruttive (OSAS) e di screening precoce dello spettro autistico”.

Il risultato comprende un aumento delle nascite, tassi di allattamento esclusivo al seno al 68% di allattamento (oltre il doppio della media nazionale), alti tassi di allattamento complementare anche in anni successivi, raccolta di dati su sovrappeso e obesità. “Tutti i bambini di quest’area distano almeno 40 minuti, e fino a un’ora e mezzo di auto, dall’ospedale. In questo modo abbiamo ridotto gli spostamenti per le famiglie, che ora hanno vicino casa un servizio capace anche di gestire le piccole urgenze. Non abbiamo tuttavia un riconoscimento amministrativo. Il progetto è nato sperimentale oltre un decennio fa e così è rimasto”.

 

La Pediatria di gruppo a Modena

“Siamo partiti in 2 pediatri, una infermiera e una segretaria nel 2009 e siamo ora 6 pediatri, 3 infermiere e 3 segretarie. Rappresentiamo il 25% di tutti i pediatri del nostro distretto di Modena”, Claudio Mangialavori è tra i fondatori della pediatria di gruppo modenese “Piccolo Principe”, una modalità associativa innovativa della pediatria del territorio,  dove ogni bambino viene assistito dal proprio pediatra per quanto riguarda la salute globale, i controlli periodici, la diagnosi e la cura di eventuali malattie ma tutti i professionisti sono disponibili a un consulto, ove necessario, e il risultato è che il bambino ha un suo medico di fiducia, ma un intero team a disposizione in caso di bisogno. I pediatri aderenti al gruppo coordinano fra loro gli orari di apertura degli ambulatori, per garantire almeno sei ore al giorno complessive, distribuite tra mattina e pomeriggio, dal lunedì al venerdì, e due ore il sabato. Durante la settimana, almeno un pediatra rimane disponibile fino alle 19. Al di fuori degli orari di reperibilità del proprio pediatra, in caso di urgenza si può comunque contattare telefonicamente il personale infermieristico. Nel caso in cui l’infermiera ritenesse utile una valutazione clinica non differibile, viene organizzata una visita con il Pediatra presente in ambulatorio. Le infermiere, negli orari stabiliti, gestiscono alcune patologie minori, medicazioni, test diagnostici e visite di controllo per patologie già diagnosticate. Durante l’ambulatorio infermieristico un pediatra è sempre presente in studio per l’eventuale diagnosi clinica e la prescrizione di una terapia. I pediatri possono sostituirsi a vicenda durante i periodi di ferie, malattia, o assenze per motivi personali.

“La struttura si è costituita su base volontaria e in senso orizzontale. Il principale vantaggio per i pazienti è la possibilità di discussione dei casi clinici, valutati da più esperti, che hanno la possibilità di confronto diretto e continuo. Lavoriamo per essere percepiti come una entità unica dalle famiglie, sebbene ogni bambino abbia il proprio pediatra di riferimento. Abbiamo una governance snella ed efficiente, siamo motivati e spinti alla valorizzazione dei talenti e tendiamo all’attivazione delle risorse interne. Un esempio: gli ambulatori sono organizzati per permettere l’osservazione del gioco durante la visita. Le urgenze vengono valutate in triage dall’infermiera e, tenuto conto delle reali necessità delle famiglie, si dà appuntamento in giornata. Abbiamo un progetto di home visiting in fieri per le neomamme, che coinvolge tutti ma soprattutto le infermiere. I neo-genitori si invitano a un incontro online, per un colloquio informale che raccolga vissuti e problematiche. In base ad esso, si organizza poi il primo accesso in ambulatorio”, conclude Mangialavori.

 

“Senza confini”: perché servono nuovi modelli integrati di cura

“Servono per rispondere a bisogni integrati e complessi e facilitare i percorsi di salute. Dobbiamo ricordarci che i bambini sono un tutt’uno e i diversi sistemi che li compongono – il sistema nervoso centrale, gli organi, il sistema immunitario – sono collegati tra loro e curare “a pezzi” è sbagliato, serve un approccio olistico vero. Dietro a buoni indicatori di salute che caratterizzano il nostro Paese, ci sono aree di grande disagio e sofferenza. Bisogna dare messaggi chiari e univoci ai genitori, e offrire servizi che non si svalorizzino a vicenda ma si riconoscano”, Giorgio Tamburlini, presidente del Centro per la salute del bambino, è tra i promotori del documento ‘Senza confini’, elaborato dal Csb Onlus e dall’Associazione culturale pediatri (Acp), in collaborazione con esperti di area pediatrica e di infanzia e con istituzioni come l’Istituto superiore di Sanità e il ministero della Sanità.  

“Durante la gravidanza dovrebbero arrivare dal sistema informazioni sulle cure e gli incontri prenatali. Ci sono ottimi modelli da seguire come l’agenda della gravidanza in Piemonte. Alla nascita dovrebbero arrivare a tutte le famiglie – a prescindere dalla loro spontanea capacità di trovare e usare i servizi – informazioni sui percorsi presenti nel territorio e i servizi, culturali e sanitari, pubblici o relativi al terzo settore. I servizi – sociale, educativo e sanitario – devono parlare tra loro. Si lavora alla definizione di aree comuni a tutti i percorsi di area medico-pedagogica, e psico-sociale. Si tratta di un’integrazione complessa, a cui dobbiamo lavorare tutti, ma che in molti luoghi esiste già, come nel caso sopra descritto di Modena. Cosa manca alla pediatria di famiglia? Una formazione più focalizzata sulle cure primarie. L’acquisizione di competenze sui temi dello sviluppo e della genitorialità responsiva”.

 

L’infermiere di area pediatrica

Sempre più realtà ambulatoriali, anche se ancora minoritarie, vedono oggi in Italia la presenza degli infermieri ambulatoriali di area pediatrica. Una figura nuova, che ad oggi non ha ancora un suo profilo professionale definito, coinvolta nei percorsi di diagnosi e cura – dal triage telefonico a quello clinico – e capace di fornire strumenti essenziali per la valutazione del rischio e l’individuazione del necessario intervento, così come la gestione della “piccola patologia”, del self-help, della medicazione e della somministrazione di eventuali terapie iniettive.

“La presenza infermieristica in ambulatorio certamente “fa la differenza” nel sostegno alla famiglia e al bambino”, ha spiegato durante il 33° Congresso Nazionale Acp Veronica Righetti, infermiera ambulatoriale di area pediatrica, “fin dai primi giorni di vita, così come nella costruzione e realizzazione di percorsi di educazione sanitaria che possano accompagnare le famiglie nelle diverse fasi di crescita di tutto il nucleo e di ogni singolo componente”. Questi delicati compiti vengono attuati in diverse modalità, sia attraverso una disponibilità e un contatto telefonico, sia attraverso momenti d’incontro a piccoli gruppi durante i quali si offre ai genitori la possibilità di condivisione e discussione su temi quali la prevenzione e le buone pratiche a sostegno dello sviluppo. Gli infermieri pediatrici devono quindi avere alte competenze nella conoscenza delle fasi dello sviluppo neuroevolutivo del bambino, ma altrettante capacità di comunicazione, empatia e gestione delle dinamiche relazionali.

La definizione di un profilo professionale permetterebbe un ancor maggior coinvolgimento degli infermieri nella gestione dei processi di cura dei bambini con cronicità importanti, che necessitano di competenze tecniche e relazionali specifiche, erogate a domicilio e necessariamente integrate da molte altre figure professionali.

Ricordando che il rapporto tra infermieri e medici in Italia è di 1.5 contro una media europea di 2.5, Acp lavora con forza affinché, nelle nuove organizzazioni di cura, sia valorizzato il ruolo, e incrementata la disponibilità, di questa professione sanitaria, sia per il lavoro territoriale che ospedaliero, anche cogliendo l’occasione dell’investimento in figure infermieristiche già previsto. La figura dell’infermiere pediatrico va valorizzata, e nello stesso tempo va previsto un suo ruolo equiparabile a quello dell’infermiere professionale, in modo da consentire mobilità e progressione di carriera.

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