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“Quando nei primi giorni dell’emergenza nuovo coronavirus abbiamo visto il numero grande di malati che stava arrivando ci siamo detti: è più alto di quanto ci si aspettasse dai dati cinesi. Ora bisogna essere ottimisti e rispettare in maniera scrupolosa le misure individuate per frenare il contagio. Per noi che lavoriamo nelle terapie intensive, però, sarà dura ancora per settimane. Continueremo ad avere malati che deteriorano. Ci aspettiamo ancora grandi flussi. E ci stiamo preparando anche a rispolverare, se necessario, tecniche di medicina di guerra”. Maurizio Cecconi, responsabile Anestesia e Terapie Intensive dell’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e docente di Humanitas University, racconta all’AdnKronos Salute di come anche l’ospedale in cui lavora sia cambiato “tanto e in tempi record” per reggere i ritmi imposti da Covid-19. E di come in emergenza si studiano soluzioni creative ‘anti-crisi’.

Ad esempio: da un solo ventilatore per due malati ai filtri per mascherine stampati in 3D. “Bisogna farsi trovare pronti”, ammette lo specialista. Oggi Cecconi, che è anche presidente eletto della Società europea di terapia intensiva (Esicm), è coinvolto in una maratona in live streaming di 7 ore su Covid-19 per condividere esperienze fra esperti di tutto il mondo. “C’è anche una rappresentanza dell’Organizzazione mondiale della sanità per un update sulla pandemia”. Si fa il punto sullo tsunami coronavirus. “Per noi è difficile – dice lo specialista – Facciamo questo mestiere per vedere un nonno che riabbraccia i suoi nipoti, o una mamma di 40-50 anni tornare dai suoi figli, e in questo momento siamo in ginocchio per la grande mole di malati che arrivano. Nessuno sarebbe stato pronto a ricevere una percentuale come il 10% di contagiati in terapia intensiva”.

“Stiamo vedendo anche giovani – racconta – e c’è un forte stress sul sistema. Stiamo cercando di trattare tutti, indipendentemente dall’età. Per continuare a farlo non smettiamo di fare ricerca, anche adesso che siamo sommersi. Ci prepariamo al peggio. In questi giorni siamo con 40 malati in ventilazione meccanica invasiva e altri nelle aree sub-intensive create ad hoc. Con anche i caschi Cpap e il resto, tutto il supporto dato in questo momento è già 5-6 volte maggiore della mia base di un mese e mezzo fa. Il sistema regge, ma il margine diventa via via più piccolo”.

Servono “respiratori, tecnologie”. E viste le carenze in tempi di pandemia “ci si prepara a sfoderare le soluzioni più creative”. Per esempio, elenca Cecconi, “stiamo completando nel nostro centro di simulazione i test per usare un singolo ventilatore per ventilare due malati. E’ una tecnica di medicina di guerra, descritta da anni. Ma non è più medicina di precisione, perché si userebbe lo stesso tipo di settaggi per due pazienti. Quindi l’adotteremmo solo se non avessimo più risorse e non ci vogliamo arrivare. Ma vogliamo comunque essere preparati”.

Il risvolto positivo “in questo dramma è che la comunità si è stretta – osserva Cecconi – Tutti cercano di portare idee. Ci siamo messi in moto in 48 ore anche con le simulazioni, per aiutarci a lavorare. Quando per proteggerci usiamo tute simili a quelle di un astronauta, è importante allenarsi a fare manovre così bardati. Dai dati raccolti nelle precedenti pandemie, inoltre, uno dei momenti più pericolosi per gli operatori è la svestizione. Noi abbiamo fatto training a tutti, non mandiamo dentro nessuno davanti a un paziente infetto senza training. E’ uno sforzo dovuto, non dobbiamo diventare vettori di contagio”.

E, aggiunge, “nonostante l’emergenza dobbiamo mantenere i principi della buona medicina, della pratica clinica e della ricerca. Dunque se possiamo testare su un manichino un’azione prima di farla su un paziente è uno sforzo che seppur ridotti all’osso dobbiamo cercare di fare”. La creatività è al massimo, spiega Cecconi. “Per esempio stiamo vedendo se possiamo convertire alcune maschere di plastica che usiamo per i ventilatori dei pazienti come ‘mascherine protettive’ per i camici, associando filtri. E’ una delle idee che si valutano in questi giorni, non solo nostra. Tutti si stanno ingegnando, per esempio con stampanti 3D per produrre filtri e altre parti. Ma ogni soluzione non verrà usata allo sbaraglio”.

Cecconi è fra i camici bianchi italiani che ha lanciato un monito ai colleghi del resto del mondo: “‘Preparatevi’, era il messaggio. Ora mentre in Lombardia siamo ancora molto colpiti, anche a Madrid hanno una situazione difficile, la Francia è in difficoltà, lo Stato di New York negli Usa. L’elenco è lungo. Credo che l’Italia abbia preso decisioni importanti e abbia aiutato molto dando i numeri in tempo reale”.

Il medico pensa ai tanti morti legati all’epidemia di Sars-CoV-2. “Sicuramente paghiamo il prezzo di una popolazione anziana – ragiona – E’ presto per esprimerci su un confronto con altri Paesi ma se sovrapponiamo la mortalità per classi d’età di Cina e Italia sono molto simili. Stiamo vedendo due cose nei nostri reparti: che è più facile avere sintomi severi se si è anziano e maschio. E che abbiamo comunque tanti malati giovani, visto il grande numero di persone che si infettano e anche loro seppur in proporzione più piccola possono finire in terapia intensiva. Oggi l’età media del nostro gruppo di malati Covid in terapia intensiva è circa 65 anni, in linea con l’età media della popolazione che si infetta. Significa che metà dei nostri malati ha più di 65 anni, ma metà ne ha di meno”.

“Stiamo pubblicando dati su riviste scientifiche internazionali sulla nostra esperienza – prosegue l’esperto – Abbiamo visto che è più facile sviluppare sintomi severi se ci sono malattie di base, ma anche un giovane in perfetta salute può ammalarsi in forma più grave e se non si ammala può comunque essere un contagio per gli altri. Poi c’è la tempestività del trattamento. Senz’altro da sempre sappiamo che prima un malato si presenta e meglio lo possiamo trattare. Ed è anche vero che con questa malattia vediamo tanti malati ipossici con bassi livelli di saturazione che sembrano meno affaticati di quanto ci si aspetterebbe”.

“Noi – assicura – ci siamo subito messi al lavoro per condividere il più possibile su una malattia nuova. Anche i colleghi cinesi si sono mostrati aperti. Stiamo collaborando molto con loro, siamo in contatto con Wuhan”, la prima metropoli del mondo a confrontarsi col nuovo coronavirus. “Abbiamo anche cercato di pensare a linee guida basate sull’evidenza scientifica, a messaggi semplici per aiutare i clinici a orientarsi. Finora nessuna terapia ha dimostrato un’azione specifica contro questo virus. L’obiettivo nelle nostre terapie intensive è garantire la giusta terapia di supporto, cercare di far riposare i polmoni dei malati mentre il sistema immunitario riesce a vincere l’infezione”.

Terapia di supporto, conclude Cecconi, “vuol dire prendere tempo perché il paziente possa migliorare. E la strategia, abbiamo visto, deve essere scegliere supporti dati gentilmente senza creare danno, ventilazioni protettive. In questo contesto, cruciale è abbattere il contagio. Questo virus è così contagioso che con pochi passaggi da una persona all’altra può infettare migliaia di persone”.

 

 

 

(AdnKronos)

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