Speciali
La nuova Difesa: gli F-35 e la centralità del personale
Nell’audizione alle Commissioni congiunte Senato-Camera la neo-Ministra Trenta ha illustrato le linee programmatiche e gli intendimenti in merito al proprio Dicastero della Difesa, puntualizzando alcuni aspetti meritevoli di attenzione che, a prescindere da quelli afferenti la geostrategia, le Alleanze e gli impegni internazionali, vanno a toccare in modo concreto la rivalutazione di alcuni programmi assai dibattuti come quello dell’F-35, la rivalutazione della spesa per ridurre sprechi di risorse e duplicazioni, la tutela dell’Industria italiana del comparto e, non ultima la tutela del personale militare e civile. Che, da sempre, rappresenta uno dei pilastri –se non il principale- delle attività e capacità dello strumento operativo, ma anche l’elemento centrale, l’attore principale nel processo di cambiamento, nelle successive trasformazioni e cambi di rotta. E’ sicuramente il “driving factor”, insieme ovviamente con la giusta allocazione di mezzi, in grado di esprimere la flessibilità dello strumento militare e la sua capacità di adattamento al mutare dello scenario e delle minacce, sostanziando in concreto quel concetto di “Resilienza” che, combinato con le capacità militari utilizzabili anche in campo civile -criterio del “Dual Use”- possono dare un contributo essenziale alla revisione obiettiva e moderna degli indirizzi e dei programmi futuri della Difesa e Sicurezza del nostro Paese. Ciò, peraltro, è del tutto in linea con il cd. ‘Contratto di Governo’ che prevede di “migliorare e rendere più efficiente il settore della Difesa” nella sua interezza, con un approccio multidimensionale che, in particolare quando si tratta di Sicurezza, deve coinvolgere in modo olistico tutti i settori dell’Amministrazione e della società. Bisogna quindi intendere la Difesa come un vero e proprio “Sistema integrato” interfacciabile e strettamente connesso con altri settori, anche con correlazioni di diverso livello e importanza. Da qui l’essenzialità delle risorse umane che devono essere motivate per conseguire quegli obiettivi spesso non comuni; altrettanto importante è che, con lo spirito di servizio e di adattamento al nuovo, il militare mantenga la sua specificità atipica e l’ago della bilancia, pur nella predetta dualità, mantenga la netta prevalenza ed intangibilità nei compiti basilari degli uomini con le stellette per la Difesa della Patria e la sacrosanta tutela delle Istituzioni.
Tralasciando gli intendimenti geostrategici, val la pena soffermarsi ulteriormente, perché direttamente connesse con l’acquisizione di nuovi velivoli sia per l’Aeronautica che per la Marina, sulle sottolineature poste dall’attenzione politica verso l’industria nazionale nel settore della Difesa per la progettazione e costruzione dei necessari sistemi militari, e quelle afferenti innanzitutto – anche perché citate in pole-position – la tutela del personale militare e civile dipendente: tali aspetti hanno un peso assai rilevante nelle scelte del velivolo F-35, della Base e delle correlate conseguenze, che meritano, come affermato dalla stessa Ministra, una riflessione a tutto campo a seguito di una valutazione approfondita degli uffici competenti che tenga conto delle esigenze capacitive delle nostre FFAA e, fra l’altro, dei costi e dei ritorni industriali e occupazionali. In sostanza sussistono, per quel programma, alcune legittime perplessità, nonostante sia stato varato oltre 20 anni fa e sia stato confermato – seppure con modifiche sensibili nei numeri di velivoli da acquisire e nel rateo di acquisizione spostato molto in là nel tempo – da tutti i Governi che dal 2000 si sono susseguiti fino ad oggi: la rivisitazione sembra orientata non a rinunciare al programma, ma a ridurre ulteriormente gli ordinativi e, quindi, a conseguire qualche risparmio. Tale programma è stato oggetto di recenti riflessioni e considerazioni che si sintetizzano nel prosieguo per una doverosa panoramica. La giusta decisione iniziale di adesione al programma JSF, partita dalla Marina nel 1998, per l’ineludibile necessità di sostituire gli AV-8B fu seguita, qualche anno dopo anche dall’Aeronautica in quanto le flotte aeree dei Tornado e degli AMX dovevano essere ammodernate -a partire dagli anni prossimi al 2015- a causa della loro oggettiva obsolescenza tecnica ed operativa. Il programma Joint Strike Fighter, o F-35, avviato dagli USA, nasceva col presupposto di costruire un aereo con spiccate capacità multiruolo –Aria aria e Aria suolo- e, al di là di ogni critica, resta comunque un eccellente velivolo sotto ogni profilo. Prodotto in tre versioni, la A normale o convenzionale CTOL, la B per portaerei minori, la C per quelle maggiori con catapulta, in termini concettuali doveva essere una piattaforma integrata e assai interscambiabile, ma in realtà sono versioni con caratteristiche diverse, in particolare la B, la STOVL, dotata di un sistema motoristico specifico, le ali diverse e linee di manutenzione dedicate. Tutti i Governi hanno confermato l’esigenza operativa fino al 2012, mantenendo fermi gli ordinativi iniziali a 131 F-35: 69 nella cd versione “Convenzionale” e 40, stranamente, nella versione STOVL (decollo corto) per l’Aeronautica, mentre per le esigenze della Marina erano stati ordinati 22 STOVL, un numero appena sufficiente per le esigenze ineludibili di sostituzione degli Harrier –AV-8B imbarcati sulla portaerei Cavour. Il Governo pro-tempore, nel 2012, nell’ambito della razionalizzazione del comparto Difesa, ha tagliato drasticamente gli organici, passando da 131 macchine a 90: 60 del tipo A più, irragionevolmente, 15 del tipo B ? all’Aeronautica, e solo 15 dello stesso tipo STOVL alla Marina.
L’unico tipo di velivolo imbarcabile su piattaforme navali (Cavour in particolare), quale successore degli attuali Harrier, è lo STOVL; l’AM, invece, dispone di una ampia serie di velivoli convenzionali, ma per la prima volta nella storia ha avvertito la necessità di acquisire gli STOVL che, peraltro, hanno prestazioni inferiori e costi superiori della versione convenzionale CTOL, per la loro maggiore complessità: la capacità “land based” su STOVL fermamente voluta dall’AMI, oltre ad essere una singolare novità, comporta costi considerevoli. Tenuto conto, quindi, che la nostra Aeronautica è attualmente l’unica al mondo a volere quel tipo di velivolo- a parte il “pooling UK” che li impiegherà in via prioritaria per “armare” le due nuove Portaerei classe “Queen Elizabeth” e forse in parte per le esigenze terrestri- risulta obiettivamente incomprensibile volersi dotare della versione STOVL. Delle due l’una; o noi siamo gli unici al mondo ad aver capito il valore operativo dell’impiego dello STOVL da terra, anche contro i pareri delle maggiori aeronautiche mondiali, oppure l’acquisizione è del tutto strumentale, artatamente voluta e “puzza di zolfo”.
E’ evidente a chiunque, anche ai non addetti ai lavori, la limitatezza delle motivazioni poste in atto per tale discutibile acquisizione nonché le penalizzazioni in termini di efficacia nel loro impiego da terra; infatti in caso di operazioni reali congiunte nell’ambito delle Alleanze o delle varie Coalizioni, il tipo “B” si troverebbe ad operare con velivoli “A” ben più prestanti senza trarre alcun beneficio dalle sue peculiarità di decollo corto e atterraggio verticale, ma con handicap ovvii circa l’autonomia, il carico bellico utile e le prestazioni in genere.
Inoltre appare incoerente e anacronistico il suo impiego “monoruolo” quando il velivolo ha acclarate capacità multiruolo: ma allora c’è qualche mente pensante e di buon senso, scevra da virus settari, che possa spiegare a che pro acquisire e quindi impiegare gli STOVL da terra, quando meglio sarebbe disporre dei CTOL più ‘performanti’ e meno complicati in termini di supporto tecnico e logistico? Sembrerebbe di prima acchito che le scelte fatte sull’ F-35 STOVL siano mirate a soddisfare quell’assolutismo aeronautico, discendente da una sorta di diritto divino, per cui “tutto ciò che vola” deve soggiacere e appartenere a quella FA, anche se un esame competente, fatto con un obiettivo, quanto virtuoso realismo indicherebbe soluzioni diverse e assai più adeguate per soddisfare le esigenze della Difesa.
Tenuto conto di quanto espresso, l’approccio auspicabile, ragionevole, e di buon senso operativo imporrebbe, di conseguenza, una unica scelta: tagliare i 15 STOVL destinati alla “land based “, devolvendoli in toto o almeno una quota parte (circa 7) alla Marina affinché possa disporne di almeno 22 imbarcabili: un organico sufficiente ma non esuberante per garantirne almeno il 70% -che è già un’ottima efficienza- cioè 14-15 pronti sul Cavour. L’ipotesi risulta accettabile ‘operativamente’ e prefigura, altresì, la realizzazione di un buon risparmio, con un taglio di 8 velivoli e quindi scendendo negli ordinativi globali dai 90 attuali, a 82 macchine. Ciò non significa privilegiare una FA rispetto ad un’altra, ma “pesare” con oculatezza e buon senso le diverse esigenze a fronte della possibile sostenibilità dell’impresa; significa perciò, a fronte di un indefinito peso ponderale e funzionale della neo “land based force”, dare il giusto valore alla Marina ed alla ben nota e preziosa componente aerotattica, basata sulla portaerei, in modo da garantire la difesa aerea della flotta e molteplici capacità aerotattiche: un assetto, quest’ultimo, decisamente migliore dell’altro, in quanto altamente strategico non solo per la Difesa, ma per l’intero Paese.
E, comunque, sembra che tali aspetti non siano stati finora recepiti e soppesati nel verso giusto; ne è una ulteriore dimostrazione la priorità posta nella sequenza di acquisizione degli F-35 e le pretese AMI di anticipata formazione dei loro piloti STOVL, che appaiono entrambe controverse quanto balzane. Già all’inizio dell’anno, all’atto del ritiro del primo STOVL, si è assistito ad una sceneggiata e ad una “querelle” patetica in quanto l’AMI pretendeva addirittura di avere una sorta di diritto di prelazione su quel primo velivolo che poi venne assegnato, dopo non poche lotte intestine, alla Marina. Tutto ciò, mentre la versione CTOL è già stata consegnata in 10 esemplari all’Aeronautica; e ora, visto che Cameri ha approntato il secondo velivolo STOVL già da qualche giorno per la consegna e l’accettazione finale, siamo ‘punto a capo’; un analogo braccio di ferro sta producendo una situazione di stallo decisionale nell’ambito della Difesa con il paradosso che Leonardo ha l’aereo pronto, ma non è stato deciso ancora a chi appartiene, e quindi chi lo deve ritirare, se i marinai o gli avieri: l’espressione di un’etica ambigua quanto incomprensibile, di un teatrino partigiano e avulso da ogni logica, con appetiti in gioco che debbono essere tacitati, una volta per tutte, con una decisione politica definitiva anche per quanto attiene la successione delle consegne.
Motivazioni pregnanti e assolutamente razionali porterebbero a ritardare, o meglio annullare, l’acquisizione degli STOVL da parte AM, mentre sussistono stringenti ragioni a favore della loro ‘pronta’ disponibilità per la Marina. Che, come ben noto, volenti o nolenti, è forzata a dismettere gli attuali AV8-B (Harrier) perché la pertinente linea di volo è in via di dismissione e non più supportabile dalle relative industrie.
Il programma di acquisizione degli STOVL della Marina deve pertanto continuare senza soluzione di continuità fino al completamento di un Gruppo di volo di almeno una decina di velivoli basato, necessariamente, come gli attuali AV-8B, nella limitrofa Base MM di Grottaglie e destinati all’imbarco “operativo” sul Cavour, in modo da poter impiegare tale prezioso assetto con il nuovo sistema d’arma JSF, seppure con ritardo, ma almeno dal 2023.
Per la cronaca va anche detto che non siamo gli unici a vivere una situazione di quel genere, in quanto pure gli inglesi si dibattono in una analoga “querelle” ma non ci si può accontentare del fatto che “mal comune è mezzo gaudio”; loro stanno sperimentando una forte contrapposizione fra la Navy e l’Air Force, i quali, pur stando apparentemente nella stessa barca con quella nefasta unione – la joint Force Harrier – ora vivono una infuocata battaglia -fra navali e terrestri – che ha radici nel rovinoso quanto ambizioso progetto Joint Force 2000: la Royal Navy sta ora “spingendo” per avere più STOVL per armare compiutamente le proprie portaerei, mentre l’Air Force pretende di ordinare più CTOL d’ora in avanti per le sue mire terrestri. E, noi, visti gli “ottimi risultati”? conseguenti a tale innaturale fusione anglosassone, se acquisissimo gli STOVL per l’AMI correremo il grosso rischio di finire peggio degli inglesi, sia in termini organizzativi che di gestione comune di quegli assetti “misti” dando inoltre la stura a sicuri problemi che non si limitano alle “differenze di colore fra le uniformi”, ma con pesanti riflessi sulle operazioni, anche in termini di coordinamento delle attività, di direzione e perfino di condotta, con ovvie frizioni e nocumento sulla efficacia stessa delle missioni. Torneremmo a dar vita a situazioni abbastanza simili a quella vissute per decenni con i Gruppi di volo dell’Aviazione per la Marina, in cui c’è un mix fra AMI e MMI, perfino nel pilotaggio dei velivoli che, in teoria e per chi ignora la reale situazione, sembra rappresentare la massima espressione della jointness, ma in pratica è un ibrido idoneo a creare scollamenti, inefficienze operative e perfino acrimonia fra il diverso personale: un esempio, in definitiva, quello inglese, che si è rivelato una vera iattura per la loro Marina e per la stessa Inghilterra, quindi da evitare nel modo più assoluto….e che, invece, si sta perseguendo in Italia con la prefigurata creazione di quei gruppi misti di STOVL, nonostante – ahimè – quei risultati nefandi siano sotto gli occhi di tutti.
Il Gruppo nazionale misto STOVL fra Marina e Aeronautica emula quella mossa UK e ne presuppone la costituzione in una base aeronautica, quella di Amendola, lontana dagli interessi della Marina e dalla sua base naturale – Grottaglie – limitrofa a Taranto; vedremo che succederà fra qualche anno e “quanto e quando” quel Gruppo imbarcherà sul Cavour per le diverse missioni: il rischio assai elevato è che si mutui esattamente quel che è successo in UK e quindi che, con due mosse si chiuda il cerchio, cortocircuitando l’Aviazione Navale, con il concreto rischio che, fra qualche anno, il Cavour e gli F-35 dedicati restino orfani. La scelta, poi, della Base di Amendola appare assurda a fronte della ovvietà di mantenere almeno gli STOVL MM nella Base di Grottaglie che opera da quasi 30 anni gli STOVL AV-8B, ma anche a fronte dei sensibili investimenti fatti a suo tempo per quella categoria di velivoli, e soprattutto perché è limitrofa alla base aeronavale di Taranto, sede del Cavour: se le cose restano così, avendo a riferimento i risparmi di gestione (sic!), riusciremo a utilizzare quei costosi e preziosi velivoli per un buon 30% della loro attività volatoria sprecati nei trasferimenti Cavour o Taranto- Amendola e viceversa. Qual è la ragione, se ce ne è una, per cui si deve strutturare una “land based force” con velivoli STOVL?
Non se ne ravvede alcuna; anzi, se davvero si voleva una “land based force” c’erano in ballo diversi tipi di velivoli di ultima generazione europei o addirittura di produzione nazionale, e non solo gli STOVL F-35 prodotti oltreoceano; per alcuni versi si potevano pure emulare gli UK, ma non nell’ eccentricità creativa di una JFH, bensì mutuando l’impiego “multiruolo” dei loro velivoli già in organico non limitandoli all’ Aria- Aria, ma impiegandoli anche nell’Aria-Suolo. Nella fattispecie, i loro EFA- Eurofighter, infatti sono impiegati come ‘multiruolo’, in missioni sia Aria-Aria che Aria-Suolo; con una unica tipologia di velivoli, svolgono diversi ruoli in modo soddisfacente come dimostrato anche nei teatri; i nostri EFA, invece –paradossalmente- vengono utilizzati soltanto nel ruolo intercettore Aria-Aria, avendo abdicato incomprensibilmente al ruolo Aria-Suolo ed a quelle sinergie connesse con l’esistenza di una unica linea di volo per tipologia di aereo, rinunciando così a quelle ricadute assai positive in termini di addestramento univoco, di logistica integrata e di supporto tecnico.
La negazione di quel ruolo dell’EFA “nostrano” è stato il motivo o il “grimaldello” per richiedere con insistenza un velivolo ad hoc in grado di svolgere le missioni Aria-Suolo, e quindi puntare sulla ulteriore diversa linea degli F-35 di tipologia STOVL: strategia indiscutibile? di provata sinergia e risparmi! Mah! In aggiunta, anziché procedere nello sviluppo ed acquisizione di altri EFA anche per una questione di indiscutibili sinergie e tenuto conto che si tratta di prodotto europeo con ritorni industriali assai più convenienti, si è preferito volgersi oltre-Oceano ordinando gli STOVL F-35B per svolgere quelle missioni Aria-Suolo, e nel contempo sfruculiare la Marina: due piccioni con una fava. Allora per favore non ci si riempi la bocca parlando di sinergie e di ottimizzazione delle risorse; esistevano tutte le possibilità di avere una logistica comune, un addestramento combinato, ed il supporto tecnico con notevoli risparmi, puntando su un’unica linea di volo EFA: l’Aeronautica d’ora in poi, e per i prossimi 10 anni, avrà invece oltre la linea EFA, quelle degli F-35 CTOL e STOVL, mantenendo inoltre attive quelle dei Tornado e degli AMX per i quali sono stati avviati importanti programmi di estensione della vita tecnica ed operativa, per almeno un altro decennio. E, inoltre, se si devono sostituire gli AMX in qualità di “monoruolo” bombardiere, che bisogno c’era di andare a scegliere i costosi STOVL F-35 quando sul mercato erano già disponibili i velivoli nazionali M- 346 che, oltre ad essere validissimi aerei di addestramento adottati dalla stessa AMI (già acquisite 18 macchine) ed esportati ampiamente nel mondo, sono ottimi caccia? In particolare la versione 346 FA, caccia e attacco, costa assai meno – un quarto o perfino un quinto- degli F-35 B, tant’è che nella moderna versione “combat” è stata acquisita da diversi Paesi e pure dall’Aeronautica israeliana. Le opzioni rispetto alla strumentale e illogica acquisizione degli F-35 STOVL esistono, quindi, concretamente; si tratta di scegliere di convertire gli EFA ad un reale velivolo multiruolo e quindi garantire una certa unicità nel supporto, manutenzioni e logistica integrata, o in alternativa, con un approccio assai più economico, acquisire al posto ed al costo di 2-3 “B”, 12-15 velivoli nazionali M 346 che oltre a svolgere egregiamente il ruolo di caccia-leggero, garantirebbero notevoli semplificazioni andando ad integrare una linea di aerei già esistenti, con evidenti e sensibili economie sia nella loro acquisizione che nella loro gestione tecnico-operativa. Va da sé che entrambe le opzioni appaiono idonee, accettabili ed economicamente valide ed appetibili; non avrebbe perciò alcun senso mantenere gli ordinativi STOVL pro-AMI e addirittura spostare i restanti ad Amendola nell’assunto di una integrazione e comunalità tecnico-logistica che ovviamente non esiste, trattandosi –in quel caso- di linee diverse fra i residenti CTOL dell’AMI e gli altri STOVL della Marina: in quel caso, si verificherebbe, invece, uno spreco di risorse solo considerando i transit-time per i viaggi di andata e ritorno sul Cavour, per tacere del resto, con costi totali inaccettabilmente elevati.
Oltre agli impatti di natura economica sopra esposti, lo spostamento del Gruppo Marina su Amendola, comporterebbe ulteriori svantaggi legati alla perdita delle sinergie operative ed addestrative ambito Forza Armata. In particolare, con lo spostamento del Gruppo F35 Marina su Amendola, si perderebbero sinergie vitali attualmente conseguibili grazie all’integrazione di Grottaglie nel polo aeronavale di Taranto e di Brindisi per le forze anfibie.
Considerata la delicata situazione di crisi in cui versa il Sud Italia, la cancellazione delle opere di adeguamento JSF della base di Grottaglie, già eseguite per oltre 18 M di euro, e il trasferimento del Gruppo Aerei MM su Amendola, avrebbero spiacevoli conseguenze di carattere economico, e presumibilmente anche politico, con riflessi negativi sul Governo, oltre a creare una deprecabile situazione nel personale ora impiegato presso il Grupaer a Grottaglie: ci sarebbe sicuramente un negativo impatto sull’indotto tarantino che, considerate le condizioni precarie in cui versa, si attenderebbe piuttosto un rilancio dell’economia locale e non certo ulteriori riduzioni. Con una modesta integrazione di risorse nei confronti della Base di Grottaglie per gli adeguamenti necessari allo specifico impiego dello STOVL “B”, a compensazione di quelle previste per Amendola, si potrebbe sostanziare una soluzione idonea, coerente e logica per una efficace gestione di quei mezzi che, si ricorda, sono intimamente legati e dedicati all’imbarco sul Cavour. Tale soluzione eviterebbe anche quel palese malcontento di oltre 200 famiglie fra piloti e specialisti costretti a subire quei trasferimenti e cambi di residenza, con ovvi disagi su tutti i componenti delle famiglie stesse, ma anche con conseguenti costi per l’Amministrazione Difesa (costi di trasferimento, di pagamento di affitti per i primi 2-3 anni, ecc) che per contro – col mantenimento dei “B” su Grottaglie- potrebbero essere quasi totalmente risparmiati.
Basterebbe la decisione giusta per evitare diverse conseguenze rovinose; la prima afferisce lo sperpero di soldi connesso con i voli di trasferimento Cavour-Amendola e rientri; la seconda l’inutilizzo delle opere già fatte su Grottaglie; la terza il colpo sull’indotto tarantino e sulle attività con altre realtà locali e interne alla Difesa; la quarta i riflessi di ordine politico a causa del mancato realizzo di opere a favore dell’area tarantina; la quinta, forse quella più importante, perché ha dirette ripercussioni su centinaia di famiglie che con i loro trasferimenti di autorità in quel di Amendola subirebbero una disgregazione familiare in pieno contrasto con il preciso obiettivo del ricongiungimento familiare che, stante le formali dichiarazioni dell’attuale Ministro della Difesa nell’ambito della pre-accennata audizione congiunta, rappresenta un caposaldo della “nuova Difesa”, quale elemento cardinale per il benessere del personale e per il miglioramento delle condizioni lavorative dei militari.
Giuseppe Ligure
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