Cronache dalla guerra – L’angolo di Eleonora Giuliani
A due passi da noi una fucina per lo Stato islamico: il Kosovo
Il Kosovo, terra musulmana, divisa dalla Serbia grazie all’intervento delle forze armate degli Stati Uniti e della NATO solo alcuni anni fa, è ufficialmente, in proporzione alla popolazione, uno dei paesi che fornisce il maggior numero di terroristi allo Stato Islamico in Siria ed Iraq. Infatti, in un paese di solo 1.8 milioni di abitanti, 314 kosovari sono stati identificati ufficialmente dalla polizia come membri di IS, negli ultimi due anni, ma il numero reale potrebbe essere ancora piú elevato. Questa situazione sconcertante non è totalmente inaspettata, poiché vari elementi di natura religiosa, politica, economica e anche storica, hanno contribuito allo sviluppo di una situazione critica e potenzialmente pericolosa.
Nonostante il forte coinvolgimento delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, gli atavici e gravi problemi di corruzione e criminalità non sono mai stati affrontati in modo adeguato, sin dalla rammentata guerra conclusasi nel 1999.
L’ordinamento giudiziario kosovaro è ritenuto fra tutte come l’istituzione piú corrotta, mentre la Commissione Europea ha documentato continue e diffuse frodi elettorali. Questa situazione non è stata ancora risolta. Inoltre, la legittimità del Governo locale è continuamente minata dal costante conflitto etnico tra kosovari albanesi e kosovari serbi. La guerra che costò molto sangue alla popolazione, portò alla diffusione e all’acquisto di armi in tutto il paese. Quelle stesse armi ora sono nelle mani anche di coloro che, a tutt’oggi, le usano impunemente per risolvere in fretta dispute e scontri tra etnie diverse.
L’instabilità politica, quindi, ha creato le condizioni ideali per far guadagnare a questo piccolo Stato la reputazione di “hub” del crimine d’Europa. Infatti, delitti di strada violenti, soprattutto nella capitale, Pristina, e atti di criminalità organizzata come traffico di droga, di esseri umani e di organi, rimangono purtroppo molto diffusi. A poco sembrano valere gli sforzi delle Nazioni Unite volti a creare di un corpo di polizia efficiente, mentre l’Unione Europea, tramite l’introduzione di una missione, preme per la creazione di un moderno Stato di diritto. Purtroppo, però, a causa delle condizioni negative velocemente analizzate, in Kosovo si riscontra un alto tasso di disoccupazione e un pesante ristagno economico. Il prodotto interno lordo annuo pro capite, nel 2015, è stato di appena $3,785.59 dollari americani. Queste circostanze hanno spinto molti abitanti, specialmente giovani frustrati e pieni di rabbia verso il proprio governo, a cercare nuove fonti di guadagno, nuovi obiettivi. La radicalizzazione religiosa ha trovato terreno fertile in questa situazione così drammatica e gruppi islamici estremisti, quindi, hanno preso piede facilmente in un paese allo sbaraglio. Le autorità locali hanno puntato il dito contro una rete di ecclesiastici ortodossi, finanziati da Arabia Saudita, Qatar, Kuwait e da altre nazioni arabe. Attraverso donazioni private, programmi di studi islamici e enti di beneficenza poco trasparenti, queste figure religiose hanno diffuso una nozione di Islam, il Wahhabism, che consiste in una lettura molto rigida e autoritaria del Corano, praticata soprattutto in Arabia Saudita.
Sin dalla fine della guerra in Kosovo, varie organizazzioni religiose islamiche dei Paesi del Golfo hanno stabilito una forte presenza in quella regione, offrendo lezioni di lingua inglese e di informatica, insieme allo studio del Corano. Molti giovani hanno seguito dei corsi per diventare Imam in Arabia Saudita, Egitto e altri paesi, mentre donne con il velo o con il burqa e uomini in abiti islamici tradizionali, con barbe incolte, si sono diffusi in tutto il paese.
Questa situazione, dunque, ci ricorda ancora una volta che la guerra da sola, senza un forte programma di stabilizzazione, di sviluppo e modernizzazione, di aiuto verso i settori più deboli della società, porta a conseguenze ancora più drammatiche di quelle che si volevano contrastare. Le istituzioni occidentali, dall’Unione Europea alla NATO, devono farsi carico di un programma di contrasto all’illegalità e alla corruzione che impedisca il proliferare di aree di fanatismo religioso così vicine ai nostri confini.
Eleonora Giuliani
e.giuliani@liberoreporter.it
- Una moschea in un paesino rurale del Kosovo
- Truppe svedesi con il compito di proteggere la popolazione serba in Kosovo
- Un mercante in Granica
- Il centro di Pristina
- statua dell’ex presidente americano Bill Clinton nel centro di Pristina
- Il Grand Hotel nel centro di Pristina. Durante la guerra in Kosovo, alcune forze armate hanno utilizzato l’albergo come base militare
- Manifesti che promuovono l’impatto positivo delle truppe internazionali, nel tentativo di ridurre le tensioni in Kosovo
- Il monastero di Gracanica, ricostruito da un re serbo nel 1321 sulle rovine di una basilica cristiana, è uno dei tanti esempi che stabilisce un forte legame tra la popolazione serba ed il Kosovo
Chi è Eleonora Giuliani?
Classe 1983, nata e cresciuta a Roma, sin da bambina ha iniziato a viaggiare spesso con il padre principalmente nei paesi dell’Europa Orientale, appena dopo la caduta del muro di Berlino; esperienze, queste, che hanno sviluppato una grande curiosità nel scoprire luoghi insoliti. Laureata a Roma in Lingue Straniere, trasferita a Londra per approfondire gli studi, Eleonora ha ottenuto un Master in Interpretariato e Traduzione. Lo studio approfondito delle lingue straniere l’ha portata a interagire con persone provenienti da paesi, tradizioni e culture diverse. Grazie a queste opportunità, il suo interesse per i viaggi è cresciuto esponenzialmente; interesse che ha trovato la sua evoluzione nella fotografia e nel descrivere luoghi atipici e spesso disprezzati, quelli che normalmente trovano spazio nelle prime pagine dei giornali solo ed esclusivamente quando accadono fatti eclatanti, guerre e drammi di ogni tipo.
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